Bramantino
il bergamasco
che sfidò Leonardo
da L'ECO DI BERGAMO,10/6/2012
Al Castello Sforzesco una mostra monografica
Il grande pittore del Rinascimento lombardo
incominciò come apprendista di un orafo
Sabrina Penteriani
Bartolomeo Suardi ce lo immaginiamo da ragazzo andar via da Bergamo in cerca di fortuna: un emigrante del Rinascimento. A quindici anni, orfano di padre, poverissimo, non lo chiamavano ancora Bramantino, soprannome che si è guadagnato elaborando in forme lombarde la monumentalità del Bramante, uno dei suoi maestri, e nessuno indovinava in lui un artista (pittore e fine architetto) destinato ad essere ricordato tra i grandi del suo tempo.
Nato nel 1465, era figlio di Alberto Suardi e di Petrina da Subiate: un bergamasco, una scoperta che gli studiosi hanno fatto da tempo, ma che è tornata ora alla luce grazie alla mostra «Bramantino a Milano» al Castello Sforzesco, che riaccende i riflettori su di lui: una trentina di opere radunate da tutta la città (Pinacoteca Ambrosiana, Brera, istituzioni pubbliche e private) sono lì a mostrare un percorso pittorico eccezionale. L'esposizione, nella Sala del Tesoro e nella Sala della Balla, aperta fino al 25 settembre, ingresso gratuito, sta già raccogliendo migliaia di visitatori, incantati dal gigantesco murale dipinto per Ludovico il Moro con Argo, guardiano posto a vegliare le ricchezze del tesoro sforzesco, e dai magnifici arazzi trivulziani con i mesi. Ma solo pochi, tra loro, conoscono la storia di questo pittore e i suoi inizi difficili in provincia. «Genio del Rinascimento lombardo – come lo definisce Giovanni Agosti, curatore della mostra con Marco Tanzi e Jacopo Stoppa – capace di affrontare Leonardo a viso aperto», è ancora poco noto al pubblico, e questa è la prima monografica che Milano gli dedica. Coraggioso e intraprendente Bramantino lo era senz'altro. A quindici anni la madre lo aveva messo a bottega: «Sappiamo da un documento del 1480 - racconta Marco Tanzi - che già in quell'anno si trovava a Milano come apprendista di un orafo, Francesco De Caseris, ed è chiamato “Bartolomeo de' Suardis de Pergamo”. La sua storia si lega a quella tradizione di pittori della Bergamasca che si trasferiscono nel capoluogo, come Butinone o Zenale, padri e maestri del Bramantino». Proprio nel polittico realizzato da Zenale e Butinone per la basilica di Treviglio, intitolata a San Martino, alcuni studiosi hanno individuato i primi segni della presenza del giovane Bartolomeo, che ben presto abbandona l'oreficeria per la pittura, anche se quell'esperienza lascia il segno: «Aveva una grande pratica – prosegue Tanzi – per le cose minute, le finezze, come si vede nelle sue prime opere, per esempio nell' Adorazione dell'Ambrosiana». Tempo dopo Bramantino riallaccia un legame con Bergamo, grazie a una commissione importante: «Il fatto è noto – sottolinea Jacopo Stoppa – dall'indicazione del patrizio veneziano Marcantonio Michiel: Bramantino realizza, intorno al 1510, con Bernardo Zenale, Troso da Monza e altri pittori i cartoni per le tarsie del coro della chiesa di Santo Stefano e Domenico a Bergamo, su commissione di Alessandro Martinengo Colleoni, parente del Magno Trivulzio. Le realizza il celebre Fra Damiano Zambelli. Sono nella chiesa di San Bartolomeo».
Purtroppo, spiega Tanzi, i cartoni sono andati persi, ma il legame resta: «Bergamo – osserva – è stata studiata da sempre come una città sotto l'influsso artistico di Venezia nel Rinascimento, mentre subisce anche un'influenza milanese forte». Sono molti i pittori bergamaschi a Milano, dove c'erano più opportunità: «Oltre a Zenale e Butinone – racconta Stoppa – ci sarà Caravaggio». A un certo punto la strada di Bramantino si incrocia con quella di un illustre bergamasco d'adozione, Lorenzo Lotto: «Lotto – racconta Stoppa – è a Roma e lavora in Vaticano quando Bramantino è impegnato in quella che diventerà la stanza di Eliodoro, dove resta nella chiave di volta una figura monocroma realizzata da lui o dalla sua bottega. Forse si sono incontrati lì. I rapporti pittorici fra i due, e l'influenza di Bramantino sulla pittura veneta, meriterebbero una mostra a parte». Proprio l'attribuzione certa della figura nella stanza di Eliodoro a Bramantino è – chiarisce Tanzi – «una delle scoperte fatte nella preparazione di questa mostra». Dai 70 documenti che si conoscevano si è arrivati ora a quasi trecento e ne dà conto il catalogo (Officina libraria). Sono state raccolte al Castello Sforzesco le opere milanesi di Bramantino che si potevano spostare: «Volevamo dimostrare – commenta Tanzi – che anche in tempi di crisi si può realizzare un'iniziativa di qualità. E quanti si accorgeranno per la prima volta di questo pittore».
Bartolomeo Suardi ce lo immaginiamo da ragazzo andar via da Bergamo in cerca di fortuna: un emigrante del Rinascimento. A quindici anni, orfano di padre, poverissimo, non lo chiamavano ancora Bramantino, soprannome che si è guadagnato elaborando in forme lombarde la monumentalità del Bramante, uno dei suoi maestri, e nessuno indovinava in lui un artista (pittore e fine architetto) destinato ad essere ricordato tra i grandi del suo tempo.
Nato nel 1465, era figlio di Alberto Suardi e di Petrina da Subiate: un bergamasco, una scoperta che gli studiosi hanno fatto da tempo, ma che è tornata ora alla luce grazie alla mostra «Bramantino a Milano» al Castello Sforzesco, che riaccende i riflettori su di lui: una trentina di opere radunate da tutta la città (Pinacoteca Ambrosiana, Brera, istituzioni pubbliche e private) sono lì a mostrare un percorso pittorico eccezionale. L'esposizione, nella Sala del Tesoro e nella Sala della Balla, aperta fino al 25 settembre, ingresso gratuito, sta già raccogliendo migliaia di visitatori, incantati dal gigantesco murale dipinto per Ludovico il Moro con Argo, guardiano posto a vegliare le ricchezze del tesoro sforzesco, e dai magnifici arazzi trivulziani con i mesi. Ma solo pochi, tra loro, conoscono la storia di questo pittore e i suoi inizi difficili in provincia. «Genio del Rinascimento lombardo – come lo definisce Giovanni Agosti, curatore della mostra con Marco Tanzi e Jacopo Stoppa – capace di affrontare Leonardo a viso aperto», è ancora poco noto al pubblico, e questa è la prima monografica che Milano gli dedica. Coraggioso e intraprendente Bramantino lo era senz'altro. A quindici anni la madre lo aveva messo a bottega: «Sappiamo da un documento del 1480 - racconta Marco Tanzi - che già in quell'anno si trovava a Milano come apprendista di un orafo, Francesco De Caseris, ed è chiamato “Bartolomeo de' Suardis de Pergamo”. La sua storia si lega a quella tradizione di pittori della Bergamasca che si trasferiscono nel capoluogo, come Butinone o Zenale, padri e maestri del Bramantino». Proprio nel polittico realizzato da Zenale e Butinone per la basilica di Treviglio, intitolata a San Martino, alcuni studiosi hanno individuato i primi segni della presenza del giovane Bartolomeo, che ben presto abbandona l'oreficeria per la pittura, anche se quell'esperienza lascia il segno: «Aveva una grande pratica – prosegue Tanzi – per le cose minute, le finezze, come si vede nelle sue prime opere, per esempio nell' Adorazione dell'Ambrosiana». Tempo dopo Bramantino riallaccia un legame con Bergamo, grazie a una commissione importante: «Il fatto è noto – sottolinea Jacopo Stoppa – dall'indicazione del patrizio veneziano Marcantonio Michiel: Bramantino realizza, intorno al 1510, con Bernardo Zenale, Troso da Monza e altri pittori i cartoni per le tarsie del coro della chiesa di Santo Stefano e Domenico a Bergamo, su commissione di Alessandro Martinengo Colleoni, parente del Magno Trivulzio. Le realizza il celebre Fra Damiano Zambelli. Sono nella chiesa di San Bartolomeo».
Purtroppo, spiega Tanzi, i cartoni sono andati persi, ma il legame resta: «Bergamo – osserva – è stata studiata da sempre come una città sotto l'influsso artistico di Venezia nel Rinascimento, mentre subisce anche un'influenza milanese forte». Sono molti i pittori bergamaschi a Milano, dove c'erano più opportunità: «Oltre a Zenale e Butinone – racconta Stoppa – ci sarà Caravaggio». A un certo punto la strada di Bramantino si incrocia con quella di un illustre bergamasco d'adozione, Lorenzo Lotto: «Lotto – racconta Stoppa – è a Roma e lavora in Vaticano quando Bramantino è impegnato in quella che diventerà la stanza di Eliodoro, dove resta nella chiave di volta una figura monocroma realizzata da lui o dalla sua bottega. Forse si sono incontrati lì. I rapporti pittorici fra i due, e l'influenza di Bramantino sulla pittura veneta, meriterebbero una mostra a parte». Proprio l'attribuzione certa della figura nella stanza di Eliodoro a Bramantino è – chiarisce Tanzi – «una delle scoperte fatte nella preparazione di questa mostra». Dai 70 documenti che si conoscevano si è arrivati ora a quasi trecento e ne dà conto il catalogo (Officina libraria). Sono state raccolte al Castello Sforzesco le opere milanesi di Bramantino che si potevano spostare: «Volevamo dimostrare – commenta Tanzi – che anche in tempi di crisi si può realizzare un'iniziativa di qualità. E quanti si accorgeranno per la prima volta di questo pittore».
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