Falchi e colombe. Equilibrio instabile
La notte che abbiamo alle spalle è, come vuole la tradizione, quella più difficile per la formazione di un governo. Si consumano le ultime trattative, crescono o si abbattono le ambizioni personali e di partito, ci si stringe la mano oppure ci si alza senza nemmeno salutarsi. In realtà, ci sono state occasioni in cui la trattativa non si è nemmeno conclusa alle prime luci dell'alba, complice la stanchezza generale, ma è continuata fin nell'auto che portava il presidente del Consiglio incaricato al Quirinale per sciogliere la riserva e presentare la lista dei ministri. Anche Enrico Letta ha vissuto una difficile notte, cominciata ieri sera con un lungo colloquio con Alfano che seguiva una tormentatissima riunione del Pdl in cui falchi e colombe si erano contrastati, anche grazie all'assenza di Berlusconi, in viaggio di ritorno dal Texas del suo amico Bush. La discussione del Pdl era sulla «intensità politica» del nuovo governo e di conseguenza sugli esponenti del partito destinati a entrarvi. Se il governo è politico, dicevano i falchi, devono entrare tutte le nostre personalità più in vista, che piaccia o non al Pd. Questione complicatissima che si coniugava anche con le legittime aspirazioni, per esempio, di Brunetta che vuole a tutti i costi diventare ministro dell'Economia, nonostante l'intero Pd di lui non voglia neanche sentir parlare.
E Brunetta vuol dire anche Sacconi, Gelmini, Schifani, esponenti del centrodestra che avrebbero sui democratici un effetto chiarissimo: l'aumento del numero di quelli che non voteranno la fiducia al governo presieduto dal loro vicesegretario. Un'area di circa 50 parlamentari a capo dei quali si sono posti sia Pippo Civati (pronto a dimettersi anche da deputato) che Laura Puppato, la quale ha chiesto che nel governo «ci siano meno ministri del Pdl che sia possibile». Dunque, le due discussioni – quella del Pdl e del Pd – si potevano tra loro specchiare, essendo l'una la causa e la conseguenza dell'altra. Allo stato Letta sembra comunque destinato al successo, dal momento che dietro di lui c'è un Napolitano mai così forte. Il presidente della Repubblica dispone di due armi formidabili per premere sui partiti e indurli alla ragione. Può sciogliere le Camere, gettando in mezzo alla strada una marea di parlamentari alla prima legislatura e nel peggiore marasma i partiti, specie il Pd. E può addirittura dimettersi, come ha minacciato nel discorso davanti al Parlamento riunito. Con questo due bastoni in mano, è immaginabile che Napolitano avrà ragione di tutti i calcoli, delle bizze, delle furbizie dei partiti, e dirà lui l'ultima parola sulla lista dei ministri che il giovane presidente del Consiglio incaricato si accinge a presentargli.
Andrea Ferrari - l'eco di bergamo.
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