BERSANI.AVANTI IN SOLITUDINE.
Giorgio Gandola - L'ECO DI BERGAMO.
« Accetto con determinazione», ha detto Pierluigi Bersani ricevendo dal presidente Napolitano l'incarico di formare il governo. Convinto, risoluto, belle sensazioni. Ma come dice Andre Agassi (che avrebbe potuto fare il filosofo della scuola di Las Vegas ma ha preferito giocare a tennis): «Ciò che provi alla fine non conta, il coraggio sta in ciò che fai». E qui la faccenda si complica perché il leader del Pd rischia seriamente di fare un bagno vestito. Per un monocolore di centrosinistra ha i numeri alla Camera ma non al Senato; per una coalizione di larghe intese non ha saputo tessere intese neppure strette; per un mandato di scopo - vale a dire su programmi condivisi - non è riuscito a condividere preventivamente alcunchè. Ha inseguito Beppe Grillo e la sua scolaresca affascinata dal Palazzo nella speranza di sedurli con la malìa del veterano, ma con le sue avances non è riuscito ad ottenere nulla. Anche perché il numero uno del Movimento 5 stelle ha sempre anteposto ad ogni tentativo di invito a cena con flirt una ferrea condizione: la rinuncia ai rimborsi elettorali. Impossibile per il Pd, che pur avendo incassato 58 milioni di euro nel 2012, ha oltre 40 milioni di passivo. E se rinunciasse a cuor leggero a ciò che gli spetta secondo la legge rischierebbe di «chiudere bottega come tutti gli altri», parola dello schietto tesoriere bergamasco Antonio Misiani. Di conseguenza nessun patto della crostatina, dell'orata o della polenta. Ma uno scenario da soap anni Ottanta: da una parte Bersani con i fiori in mano e una dolce insistenza nelle parole. E dall'altra Grillo con un irremovibile broncio. Il presidente Napolitano ha tentato a lungo di convincere il leader del centrosinistra a prendere in considerazione la Grosse Koalition con il Pdl, ma solo l'idea di riaprire la porta a Berlusconi ha creato scompiglio nelle file dei vendoliani e pure dei riformisti più ortodossi. Napolitano non ha torto, in fondo il governo Monti è stato tenuto in piedi per comodità dalle due maggiori forze piolitiche che per 13 mesi hanno saputo mettere da parte frizioni e spigolosità davanti al Paese sull'orlo del baratro. Poi Berlusconi ha dato la spallata di dicembre e il fragile castello realizzato con i mattoncini Lego è crollato. Oggi una riedizione viene ritenuta impossibile a gauche. All'interno del Pd s'è persino creata una corrente ufficiosa dall'acronimo TTB (tutti tranne Bersani) per far sapere al segretario quali siano i rischi immediati di un simile eventuale connubio. Così l'esplorazione di Bersani rischia di fermarsi sotto la tenda rossa alla prima votazione in aula: no all'inciucio con Berlusconi, no al governo pop con Grillo. Anche se gli analisti che trascorrono la loro vita nel corridoio dei Passi perduti - innervositi dall'aumentato costo dei tramezzini al salmone e del barbiere di Montecitorio - non escludono che fuori dall'aula il comune sentire degli sherpa del Pd e degli scout del M5S possa fare da collante politico. Sempre? No, di volta in volta. Anzi quando conviene a Grillo. Una sorta di «convergenze parallele a singhiozzo» che neppure Aldo Moro avrebbe mai saputo immaginare. Bersani ci prova, convinto che anche Grillo abbia qualcosa da perdere. Lo spiega chiaramente: «La verità è che se si va sul loro terreno si aprono delle brecce. Perché ci saranno delle occasioni in cui dovranno decidere se stare con il centrosinistra o con Berlusconi». L'obiettivo è quello del mandato elettorale: diminuire le distanze fra i cittadini italiani e i politici. Le prime mosse sono state confortanti, la decisione dei presidenti di Camera e Senato di tagliarsi i compensi del 30% e di imporre un'agenda di lavori dal lunedì al venerdì è pur sempre una piccola rivoluzione rispetto alle abitudini bizantine dei parlamentari italiani, che si presentavano in aula il martedì, cominciavano il weekend il giovedì e incassavano lo stipendio pieno. Lo spettro di Grillo aleggiante fra gli scranni in fondo è un bene. E si spera che il Palazzo comprenda quanto il moltiplicarsi di questi gesti possa essere un primo passo per risalire dall'abisso di inattendibilità nel quale è precipitata la Casta. Ora attendiamo il totoministri con un pizzico di apprensione. Sarebbe sorprendente veder ricomparire dalla soffitta i baffetti di D'Alema e i tricot di Rosi Bindi. Ma anche scelte forzatamente giovanilistiche e lunari per ingolosire i grillini potrebbero rivelarsi un azzardo per un Paese che - non dimentichiamocelo - ha un deficit al 127% del pil, un debito pubblico oltre i duemila miliardi, una pressione fiscale reale (per chi paga le tasse) al 54%. E l'obbligo di continuare a fare i compiti a casa. Ieri verso sera Pierluigi Bersani s'è preso l'Italia sulle spalle e intende portarla da solo oltre il guado. Un bell'azzardo che potrebbe durare un anno o lo spazio di una settimana. Uomo coraggioso o testardo, dipende dal risultato
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