Bergamo crocevia dei big della politica
«Qui si decide per Regione e Senato»
Monti ha aperto la campagna. Poi sono arrivati Bersani, Grillo, Alfano, Renzi, Bossi e Maroni
Il giuslavorista Tiraboschi: a caccia di voti perché siamo importanti dal punto di vista economico
SUSANNA PESENTI - L'ECO DI BERGAMO,16/02/2013
Bergamo, se non caput mundi, almeno caposaldo della campagna elettorale? Dopo anni di periferia dell’impero (tanto,imposto un partito, i bergamaschi continuano a votarlo finché esiste) i big questa volta
stanno sfilando tutti, un corteggiamento imprevisto e intenso.
Pesa la dote di voti o ci sono idee da intercettare?
«Siamo un doppio Ohio», dice Stefano Cofini del Centro Studi di Confindustria Bergamo.
Per questo i politici sfilano a Bergamo in quantità e calibro insoliti: «Non è Bergamo in quanto tale a contare – osserva – è la Lombardia. E poi il Senato.
Il risultato si gioca in pochi posti e Bergamo è uno di quei posti. Se vince la Lega e va in porto la macroregione del nord,quasi il 30% della popolazione e il 40% del pil, è chiaro che ci sono riflessi sugli equilibri nazionali». Bergamo è poi terra allergica all’astensionismo: si andrà a votare anche questa volta,
di offerta ce n’è tanta ma per una certa omogeneità dei programmi («tutti vanno sulla luna e nessuno spiega perché e come il suo modo d’andarci è diverso») i leader sono costretti a metterci almeno la faccia, «in una campagna che tutto sommato è meno televisiva e più pelle, anche per questioni di budget».
Meno influente appare un «effetto laboratorio politico» che attirerebbe a Bergamo i big.
«Lab, il nostro territorio lo è stato – ricorda Cofini – più volte, prima politico ai tempi della Dc e di San Pellegrino,poi più sindacale e economico.
Ora, francamente non mi sembra».
Bombassei, in quanto «imprenditore che crede in un’economia non assistita ma che è in grado di scommettere su se stessa» è l’unico elemento laboratoriale per il sociologo Dario Nicoli «insieme a Giorgio Gori e gli altri renziani che a Bergamo hanno mobilitato fasce trasversali di elettori. Per il resto – osserva il docente dell’Università cattolica – Bergamo è sempre la stessa. Che i leader arrivino qui per le idee, ci credo poco.
Penso che la logica sia quella della raccolta voti, che ormai dev’essere fatta casa per casa. Il centrodestra, dopo decenni di ipersicurezza deve riprendere il terreno perso, la Lega rimane forza politica regionale, ma ha
perso la dimensione nazionale.
Quanto al centrosinistra, son quindici anni che non si schioda dai suoi 12 milioni di voti. E
tutti i partiti tradizionali devono fare i conti con l’astensionismo,le nuove formazioni, l’atteggiamento
non scontato dei giovani e delle partite iva».
«Laboratorio politico? Non direi. Sociale, economico, imprenditoriale e sindacale sì, a partire dal Patto per Bergamo,dal volontariato, dai corpi intermedi attivi». Maurizio Laini, già segretario della Cgil provinciale
e ora della Camera del Lavoro Monza Brianza, afferma che in questa campagna non c’è specificità
bergamasca («la politica locale mi sembra fragile»),ma che i big stanno scorrazzando per tutta la Lombardia, da Monza a Brescia «è una sfilata continua, in palio c’è la regione più importante d’Italia».
Lo sguardo storico assoluto,se non altro per ragioni anagrafiche,viene da Felice Rizzi, sindaco a 22 anni di Ponte Nossa nei mitici anni ’60, quando la Dc in provincia non solo costituiva la lista di maggioranza, ma spesso, con altre forme, anche di minoranza,perché i non democristiani erano rari. Oggi, docente di pedagogia interculturale all’università di Bergamo dove ha aperto la Cattedra Unesco, Rizzi sostiene che una campagna elettorale così non l’ha mai vista: «Fuochi artificiali. E una grande fatica a rinunciare al
protagonismo per stare insieme e procedere verso una meta».
Quanto a Bergamo, non si fa illusioni:«La questione è matematica.
Ci sono tanti voti da portare a casa,perché i bergamaschi non sono astensionisti.
Ma bisogna sgobbare:così arrivan tutti». E il premio è la Lombardia. «Troppo importante, soprattutto
dopo tutto quello che è successo in Regione negli ultimi tempi: cose successe qui da noi,inaspettate per gli elettori».
Anche per il giuslavorista Michele Tiraboschi l’attenzione concentrata su Bergamo dipende dal fattore matematico: è una provincia cruciale per il voto in Lombardia, sia per il futuro della Regione, sia per gli effetti
sulle votazioni al Senato.
«Si tratta della provincia più popolosa e importante dal punto di vista economico dopo Milano e insieme a Brescia. Logico che qui si giochino i big. Inoltre,dopo l’ondata di scandali che ha coinvolto i partiti maggiori e la nascita di liste che sono alternative anche nel modo di proporsi all’elettorato, i partiti tradizionali
e i loro leader hanno dovuto tornare sul territorio, a contatto con la gente. Infine,per Bergamo includerei anche l’effetto Bombassei: un grande imprenditore che si candida, attira l’attenzione».
Tiraboschi sottolinea però anche il tradizionale sottotono della città,che perciò avverte ora in modo
più intenso il cambiamento nella comunicazione elettorale, ritornata nelle piazze, con una fisicità alla quale il video aveva disabituato.
«Qui si decide per Regione e Senato»
Monti ha aperto la campagna. Poi sono arrivati Bersani, Grillo, Alfano, Renzi, Bossi e Maroni
Il giuslavorista Tiraboschi: a caccia di voti perché siamo importanti dal punto di vista economico
SUSANNA PESENTI - L'ECO DI BERGAMO,16/02/2013
Bergamo, se non caput mundi, almeno caposaldo della campagna elettorale? Dopo anni di periferia dell’impero (tanto,imposto un partito, i bergamaschi continuano a votarlo finché esiste) i big questa volta
stanno sfilando tutti, un corteggiamento imprevisto e intenso.
Pesa la dote di voti o ci sono idee da intercettare?
«Siamo un doppio Ohio», dice Stefano Cofini del Centro Studi di Confindustria Bergamo.
Per questo i politici sfilano a Bergamo in quantità e calibro insoliti: «Non è Bergamo in quanto tale a contare – osserva – è la Lombardia. E poi il Senato.
Il risultato si gioca in pochi posti e Bergamo è uno di quei posti. Se vince la Lega e va in porto la macroregione del nord,quasi il 30% della popolazione e il 40% del pil, è chiaro che ci sono riflessi sugli equilibri nazionali». Bergamo è poi terra allergica all’astensionismo: si andrà a votare anche questa volta,
di offerta ce n’è tanta ma per una certa omogeneità dei programmi («tutti vanno sulla luna e nessuno spiega perché e come il suo modo d’andarci è diverso») i leader sono costretti a metterci almeno la faccia, «in una campagna che tutto sommato è meno televisiva e più pelle, anche per questioni di budget».
Meno influente appare un «effetto laboratorio politico» che attirerebbe a Bergamo i big.
«Lab, il nostro territorio lo è stato – ricorda Cofini – più volte, prima politico ai tempi della Dc e di San Pellegrino,poi più sindacale e economico.
Ora, francamente non mi sembra».
Bombassei, in quanto «imprenditore che crede in un’economia non assistita ma che è in grado di scommettere su se stessa» è l’unico elemento laboratoriale per il sociologo Dario Nicoli «insieme a Giorgio Gori e gli altri renziani che a Bergamo hanno mobilitato fasce trasversali di elettori. Per il resto – osserva il docente dell’Università cattolica – Bergamo è sempre la stessa. Che i leader arrivino qui per le idee, ci credo poco.
Penso che la logica sia quella della raccolta voti, che ormai dev’essere fatta casa per casa. Il centrodestra, dopo decenni di ipersicurezza deve riprendere il terreno perso, la Lega rimane forza politica regionale, ma ha
perso la dimensione nazionale.
Quanto al centrosinistra, son quindici anni che non si schioda dai suoi 12 milioni di voti. E
tutti i partiti tradizionali devono fare i conti con l’astensionismo,le nuove formazioni, l’atteggiamento
non scontato dei giovani e delle partite iva».
«Laboratorio politico? Non direi. Sociale, economico, imprenditoriale e sindacale sì, a partire dal Patto per Bergamo,dal volontariato, dai corpi intermedi attivi». Maurizio Laini, già segretario della Cgil provinciale
e ora della Camera del Lavoro Monza Brianza, afferma che in questa campagna non c’è specificità
bergamasca («la politica locale mi sembra fragile»),ma che i big stanno scorrazzando per tutta la Lombardia, da Monza a Brescia «è una sfilata continua, in palio c’è la regione più importante d’Italia».
Lo sguardo storico assoluto,se non altro per ragioni anagrafiche,viene da Felice Rizzi, sindaco a 22 anni di Ponte Nossa nei mitici anni ’60, quando la Dc in provincia non solo costituiva la lista di maggioranza, ma spesso, con altre forme, anche di minoranza,perché i non democristiani erano rari. Oggi, docente di pedagogia interculturale all’università di Bergamo dove ha aperto la Cattedra Unesco, Rizzi sostiene che una campagna elettorale così non l’ha mai vista: «Fuochi artificiali. E una grande fatica a rinunciare al
protagonismo per stare insieme e procedere verso una meta».
Quanto a Bergamo, non si fa illusioni:«La questione è matematica.
Ci sono tanti voti da portare a casa,perché i bergamaschi non sono astensionisti.
Ma bisogna sgobbare:così arrivan tutti». E il premio è la Lombardia. «Troppo importante, soprattutto
dopo tutto quello che è successo in Regione negli ultimi tempi: cose successe qui da noi,inaspettate per gli elettori».
Anche per il giuslavorista Michele Tiraboschi l’attenzione concentrata su Bergamo dipende dal fattore matematico: è una provincia cruciale per il voto in Lombardia, sia per il futuro della Regione, sia per gli effetti
sulle votazioni al Senato.
«Si tratta della provincia più popolosa e importante dal punto di vista economico dopo Milano e insieme a Brescia. Logico che qui si giochino i big. Inoltre,dopo l’ondata di scandali che ha coinvolto i partiti maggiori e la nascita di liste che sono alternative anche nel modo di proporsi all’elettorato, i partiti tradizionali
e i loro leader hanno dovuto tornare sul territorio, a contatto con la gente. Infine,per Bergamo includerei anche l’effetto Bombassei: un grande imprenditore che si candida, attira l’attenzione».
Tiraboschi sottolinea però anche il tradizionale sottotono della città,che perciò avverte ora in modo
più intenso il cambiamento nella comunicazione elettorale, ritornata nelle piazze, con una fisicità alla quale il video aveva disabituato.
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