IL GIAGUARO BERSANI SMACCHIATO DA UN GRILLO.
di GIORGIO GANDOLA - L'ECO DI BERGAMO,26 FEBBRAIO 2013
Immobile, anzi paralizzato.
Un Paese che voleva un motore politico per ripartire, scopre di essere fermo.
È questo il dato immediato della tornata elettorale nonostante lo tsunami Grillo che l’ha attraversata,
l’ha scompaginata e l’ha vinta cambiando le regole del gioco. Ma il Movimento 5 Stelle non partecipa,
non vuole amici dentro il Parlamento e, secondo programma, si limiterà «a votare di volta in volta ciò che ritiene giusto». La strategia merita un esempio. Intervistato subito dopo il trionfo,un candidato grillino di Torino ha detto: «Poiché sono piemontese, il mio primo gesto sarà votare no alla Tav». Legittimo, ma centrosinistra e centrodestra hanno già votato più volte sì.
No alle infrastrutture, no alle politiche energetiche, no agli investimenti, no praticamente a tutto: non sarà facile parlare con Grillo.
Oggi nel Paese tira un'aria di paralisi istituzionale, anche perchè il Pd non ha vinto con numeri rotondi per governare, Berlusconi ha ottenuto in contropiede uno dei suoi migliori exploit (nelle rimonte è un fenomeno), Monti si è fermato in purgatorio con il loden, Giannino è stato tradito dalla sua vanità ancora prima di cominciare e Ingroia può tornare in Guatemala a fare il magistrato. Tutto complicatissimo nelle percentuali e nella lettura delle sensibilità degli italiani. Così complicato che anche questa volta i sondaggisti sono andati in tilt (alle 15.01 hanno avvistato una valanga di sinistra che non è mai arrivata). E tutto semplice nello sviluppo dello scenario politico che si profila: stamane - dopo elezioni alle quali ha partecipato il 75% degli italiani, una delle percentuali più alte d'Europa - nessuno è così forte da imporre la propria leadership. E il primo a rammaricarsi è colui che sarà chiamato a sbrogliare la matassa: Pierluigi Bersani. È lui il giaguaro smacchiato. Partiva con un vantaggio abissale, gli autogol del Pdl e del suo leader lo avevano issato sul podio con tre mesi di anticipo. Ma la sua campagna elettorale non è stata coraggiosa, ha preferito controllare il vantaggio, ha fatto melina, ha coinvolto Matteo Renzi troppo tardi e senza un ruolo preciso. Si pentirà mille volte di non aver lasciato spazio al sindaco di Firenze e al suo riformismo young. Così Bersani ha finito per farsi battere da Berlusconi persino a casa sua, a Bettola, vicino al gasometro dei genitori. Un segnale di fragilità che preoccupa, anche perchè basteranno due parlamentari con il raffreddore per andare sotto nelle votazioni. Deludente, ma spiegabile, anche il risultato di Mario Monti. È la conferma che il voto è qualcosa di meravigliosamente istintivo, conta la pancia. È la conferma che in Italia, storicamente, l'immagine da feldmaresciallo di Berlino non giova. È la conferma che le sberle e le frustate non fanno innamorare nessuno. E che l'alleanza con Casini e Fini, proprio nel momento della grande ribellione nei confronti della decadenza della politica, è stata un formidabile autogol. Ecco un sostanziale pareggio, un orizzonte nebbioso proprio nel momento in cui sarebbe servito un colpo di vento risolutore a indicare la strada da percorrere. Ecco uno zero a zero che potrebbe non servire a nulla, se non ad aumentare l'immobilismo del Parlamento e i chilometri di distanza fra la «politique politicienne» e il Paese reale. Neppure in questi 13 mesi di Monti i partiti sono stati capaci di riformarsi, di cogliere i segnali di insofferenza dei cittadini: nessun taglio alle province, nessun taglio della spesa pubblica, nessuna revisione degli emolumenti, nessuna legge elettorale credibile nonostante le pressioni del capo dello Stato. Niente, solo il consenso al rigore di Monti, peraltro poi rinnegato in campagna elettorale. Tutto ciò ha spostato l'elettorato verso Grillo. In Piemonte, in Puglia, in Calabria, in Campania, in Sicilia, in Lombardia il Movimento Cinquestelle ha sfondato ed ora non può più essere considerato un fenomeno extraparlamentare in senso folcloristico. Il suo leader lo sa e rincara la dose: «Nessun inciucio. Sono le prove generali, i partiti sono finiti. E noi in tre anni siamo diventati la prima forza del Paese». Ciò che accade in Italia è politicamente inedito: un partito formato da persone che neppure si conoscono e che non hanno mai assommato un'ora di presenza in un consiglio comunale o di circoscrizione o nel consiglio di una bocciofila, sbanca le elezioni, diventa primo partito alla Camera dicendo sostanzialmente no alla politica. E i suoi rappresentanti entrano in Parlamento con il 25% dei consensi degli italiani. Siamo un laboratorio politico di interesse mondiale, ciò che vediamo è persino più sorprendente di quello che 25 anni riuscì a fare la Lega. E proprio la Lega, dopo la lunga traversata del deserto dei mesi scorsi, ha pagato in termini di consensi la freschezza perduta, anche se la vera partita politica dei padani si gioca oggi nella scalata al Pirellone. L'aria è ferma e silenziosa, s'avverte solo il ruggito del Grillo. È questo il Parlamento che dovrà eleggere il nuovo presidente della Repubblica e votare leggi che vanno in direzione del fiscal compact, la promessa di rientro dal debito siglata con l'Europa. Un vincitore debolissimo (Bersani), uno sconfitto agguerritissimo (Berlusconi), un outsider popolarissimo (Grillo).
È davvero il Vietnam dei partiti.
E l'hanno voluto loro.
di GIORGIO GANDOLA - L'ECO DI BERGAMO,26 FEBBRAIO 2013
Immobile, anzi paralizzato.
Un Paese che voleva un motore politico per ripartire, scopre di essere fermo.
È questo il dato immediato della tornata elettorale nonostante lo tsunami Grillo che l’ha attraversata,
l’ha scompaginata e l’ha vinta cambiando le regole del gioco. Ma il Movimento 5 Stelle non partecipa,
non vuole amici dentro il Parlamento e, secondo programma, si limiterà «a votare di volta in volta ciò che ritiene giusto». La strategia merita un esempio. Intervistato subito dopo il trionfo,un candidato grillino di Torino ha detto: «Poiché sono piemontese, il mio primo gesto sarà votare no alla Tav». Legittimo, ma centrosinistra e centrodestra hanno già votato più volte sì.
No alle infrastrutture, no alle politiche energetiche, no agli investimenti, no praticamente a tutto: non sarà facile parlare con Grillo.
Oggi nel Paese tira un'aria di paralisi istituzionale, anche perchè il Pd non ha vinto con numeri rotondi per governare, Berlusconi ha ottenuto in contropiede uno dei suoi migliori exploit (nelle rimonte è un fenomeno), Monti si è fermato in purgatorio con il loden, Giannino è stato tradito dalla sua vanità ancora prima di cominciare e Ingroia può tornare in Guatemala a fare il magistrato. Tutto complicatissimo nelle percentuali e nella lettura delle sensibilità degli italiani. Così complicato che anche questa volta i sondaggisti sono andati in tilt (alle 15.01 hanno avvistato una valanga di sinistra che non è mai arrivata). E tutto semplice nello sviluppo dello scenario politico che si profila: stamane - dopo elezioni alle quali ha partecipato il 75% degli italiani, una delle percentuali più alte d'Europa - nessuno è così forte da imporre la propria leadership. E il primo a rammaricarsi è colui che sarà chiamato a sbrogliare la matassa: Pierluigi Bersani. È lui il giaguaro smacchiato. Partiva con un vantaggio abissale, gli autogol del Pdl e del suo leader lo avevano issato sul podio con tre mesi di anticipo. Ma la sua campagna elettorale non è stata coraggiosa, ha preferito controllare il vantaggio, ha fatto melina, ha coinvolto Matteo Renzi troppo tardi e senza un ruolo preciso. Si pentirà mille volte di non aver lasciato spazio al sindaco di Firenze e al suo riformismo young. Così Bersani ha finito per farsi battere da Berlusconi persino a casa sua, a Bettola, vicino al gasometro dei genitori. Un segnale di fragilità che preoccupa, anche perchè basteranno due parlamentari con il raffreddore per andare sotto nelle votazioni. Deludente, ma spiegabile, anche il risultato di Mario Monti. È la conferma che il voto è qualcosa di meravigliosamente istintivo, conta la pancia. È la conferma che in Italia, storicamente, l'immagine da feldmaresciallo di Berlino non giova. È la conferma che le sberle e le frustate non fanno innamorare nessuno. E che l'alleanza con Casini e Fini, proprio nel momento della grande ribellione nei confronti della decadenza della politica, è stata un formidabile autogol. Ecco un sostanziale pareggio, un orizzonte nebbioso proprio nel momento in cui sarebbe servito un colpo di vento risolutore a indicare la strada da percorrere. Ecco uno zero a zero che potrebbe non servire a nulla, se non ad aumentare l'immobilismo del Parlamento e i chilometri di distanza fra la «politique politicienne» e il Paese reale. Neppure in questi 13 mesi di Monti i partiti sono stati capaci di riformarsi, di cogliere i segnali di insofferenza dei cittadini: nessun taglio alle province, nessun taglio della spesa pubblica, nessuna revisione degli emolumenti, nessuna legge elettorale credibile nonostante le pressioni del capo dello Stato. Niente, solo il consenso al rigore di Monti, peraltro poi rinnegato in campagna elettorale. Tutto ciò ha spostato l'elettorato verso Grillo. In Piemonte, in Puglia, in Calabria, in Campania, in Sicilia, in Lombardia il Movimento Cinquestelle ha sfondato ed ora non può più essere considerato un fenomeno extraparlamentare in senso folcloristico. Il suo leader lo sa e rincara la dose: «Nessun inciucio. Sono le prove generali, i partiti sono finiti. E noi in tre anni siamo diventati la prima forza del Paese». Ciò che accade in Italia è politicamente inedito: un partito formato da persone che neppure si conoscono e che non hanno mai assommato un'ora di presenza in un consiglio comunale o di circoscrizione o nel consiglio di una bocciofila, sbanca le elezioni, diventa primo partito alla Camera dicendo sostanzialmente no alla politica. E i suoi rappresentanti entrano in Parlamento con il 25% dei consensi degli italiani. Siamo un laboratorio politico di interesse mondiale, ciò che vediamo è persino più sorprendente di quello che 25 anni riuscì a fare la Lega. E proprio la Lega, dopo la lunga traversata del deserto dei mesi scorsi, ha pagato in termini di consensi la freschezza perduta, anche se la vera partita politica dei padani si gioca oggi nella scalata al Pirellone. L'aria è ferma e silenziosa, s'avverte solo il ruggito del Grillo. È questo il Parlamento che dovrà eleggere il nuovo presidente della Repubblica e votare leggi che vanno in direzione del fiscal compact, la promessa di rientro dal debito siglata con l'Europa. Un vincitore debolissimo (Bersani), uno sconfitto agguerritissimo (Berlusconi), un outsider popolarissimo (Grillo).
È davvero il Vietnam dei partiti.
E l'hanno voluto loro.
Sarà pure il Vietnam dei Partiti ma qui chi paga siamo sempre noi.
RispondiEliminaAd ogni elezione ci sottraggono circa 500 milioni per "rimborsi elettorali" a prescindere dalla durata della legislatura. Se, com'è più che probabile, tra poco torneremo alle urne, intascheranno ancora la stessa cifra con buona pace della riduzione dei costi della politica.
I ladri di Pisa erano dei dilettanti.
attenzione all inganno cari cittadini forti dell vostro entusiasmo spero che non rimaniate delusi.... dall alleanza pd-grillo ......che robaaaaaaaaaaaaaaaa le barzellette le racconti ad un altro
RispondiEliminalibero
ps spero di no ma..se cio non fosse altro governo tecnico e giu legnate
Il 25 febbraio e' il giorno della nuova liberazione dell'Italia del 2000. La vittoria di Grillo, definito da alcuni movimento di protesta e da altri movimento di idee e' un inizio difficoltoso per un cambiamento epocale e non piu' rinviabile. Per anni ci siamo lasciati ingannare da specialisti che al capezzale del paziente, anziche' prescrivere ed applicare le cure necessarie, pensavano a riscuotere il loro onorario. Ora, alla faccia delle borse, delle borsette, dei foschi orizzonti che vengono ventilati, gli Italiani hanno gridato basta, ( era ora!). Speriamo ora che il nuovo movimento ( non populista, ma realista) sappia giorno dopo giorno portare avanti le riforme non piu' procrastinabili. F.
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