Campagna low cost per Berlusconi
Comizi non ne farà perché ci sono rischi per la
sicurezza; i mega-manifesti da sei metri per tre non li farà attaccare
perché preferisce spiegare direttamente le sue ragioni agli elettori
tramite la tv; i promotori della libertà di Vittoria Brambilla questa
volta non sono stati mobilitati (né tantomeno sono stati riaperti la
supersede all'Eur e il canale televisivo), si punta su piattaforme
nuove: Facebook e Twitter.
Già, lui, che si è inventato nel 2001 l'uso compulsivo dei giganteschi manifesti pubblicitari (facendo anche esplodere i costi, che nel 2006 erano arrivati a 1.000 euro per ogni singola gigantografia affissa per 14 giorni), questa volta ha puntato senza mezzi termini per una campagna elettorale low cost. In primo luogo, speranze di rimonta a parte, Berlusconi sa bene che i suoi gruppi parlamentari usciranno falcidiati dalle elezioni, non solo, ma i rimborsi che vengono erogati in base ai voti raccolti, sono stati anche dimezzati dal Parlamento dopo i recenti scandali. Del resto già prima che la tagliola scattasse, Berlusconi aveva avviato comunque la sua personale spending review nel Pdl, tagliando di un milione anche la fideiussione personale che presentava ogni anno per riassestare la casse del partito. Non a caso nella relazione che accompagna l'ultimo bilancio, il tesoriere del Pdl, Rocco Crimi avvertiva che «rilevanti incognite» si profilavano «in relazione alla gestione finanziaria del 2013». Per dirla, insomma, come gli impresari di una volta: «Bambole, non c'è una lira». Discorso, per la verità, che il Cavaliere ha fatto anche alle altre 12 liste apparentate, Lega compresa: questa volta non sarà lui a pagare per tutti.
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