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Massimo Gramellini
Temete l’ira del mite. E’ pacifico e tollerante, intento a scrostarsi
di dosso le cicatrici di un dolore antico. Chiede soltanto di essere amato e di
non venire considerato come gli altri: i disinvolti, i beceri, gli arrivisti.
Coltiva anche dei miti, il mite. Dei miti e dei sogni. Ne conosco uno che aveva
il mito dell’America buona e il sogno di fondare in Italia un partito
progressista moderno. Finché il sogno si avverò e il mite ne divenne il capo.
Alle elezioni prese un mucchio di voti, ma i compagni di bottega smisero
egualmente di amarlo. Lui si chiamò fuori, offeso e deluso. Da tutti e da uno in
particolare: un tipo coi baffi che non cercava l’amore degli altri perché se ne
dava già abbastanza da sé. Ma il mite ha pazienza. E un tempismo formidabile. Il
momento che sa aspettare è sempre quello giusto.
Il nostro mite, chiamiamolo Walter, nel giorno del quinto anniversario del suo sogno-partito andò a dire in tv: io sono diverso, non mi candido più. Una scelta sofferta, certo. E personale, certissimo. Eppure bastò che lui si staccasse dalla colonna a cui per forza di inerzia era ancora rimasto appoggiato perché il tempio cadesse giù, precipitando sulla testa di coloro che non lo avevano amato o, peggio, avevano smesso di amarlo. Fra i calcinacci si riconosceva il tipo coi baffi, chiamiamolo Massimo, intento a scambiarsi irriconoscenze col nuovo capo, un Pier Luigi che era stato proprio Massimo a mettere lì, per sfregio nei confronti del mite. Il quale osservò la scena del disastro senza compiacimento né compassione, con un riverbero di tristezza implacabile negli occhiali. Tremenda è l’ira di noi miti.
Il nostro mite, chiamiamolo Walter, nel giorno del quinto anniversario del suo sogno-partito andò a dire in tv: io sono diverso, non mi candido più. Una scelta sofferta, certo. E personale, certissimo. Eppure bastò che lui si staccasse dalla colonna a cui per forza di inerzia era ancora rimasto appoggiato perché il tempio cadesse giù, precipitando sulla testa di coloro che non lo avevano amato o, peggio, avevano smesso di amarlo. Fra i calcinacci si riconosceva il tipo coi baffi, chiamiamolo Massimo, intento a scambiarsi irriconoscenze col nuovo capo, un Pier Luigi che era stato proprio Massimo a mettere lì, per sfregio nei confronti del mite. Il quale osservò la scena del disastro senza compiacimento né compassione, con un riverbero di tristezza implacabile negli occhiali. Tremenda è l’ira di noi miti.
I miti il piu' delle volte rinunciano loro ad una carica che si meritano,come ha fatto un certo Walter, per lasciare spazio a gente ambiziosa che da troppo tempo manovra nella stanza dei bottoni; si chiamino costoro Pierluigi, abbiano i baffi o i capelli lunghi, ma sono sempre troppo innamorati del potere a qualunque costo.Tutti, dopo 3 legislazioni al massimo, devono cambiare aria, anche il Celeste.
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