Perché la lega riscopre Miglio
L'ECO DI BERGAMO,Lunedì 24 Settembre 2012
Le prime iniziative poste in essere da Roberto Maroni, nuovo segretario della Lega, evidenziano la sua volontà di perseguire due non facili ma importanti obiettivi. Il primo è quello di emarginare il più possibile chi all'interno del partito si è fatto promotore di comportamenti riprovevoli sul piano etico e politico, prima ancora che su quello giudiziario. In quest'azione l'atto più complesso e difficile è stato quello di ridimensionare, senza annullarla, la figura dello storico fondatore e leader del movimento, Umberto Bossi. Il secondo obiettivo è quello di rilanciare l'azione politica del partito attraverso la riscoperta del pensiero e dell'opera di Gianfranco Miglio, che tra il 1990 e il 1994 lavorò per il movimento con l'intento di farne un'autentica forza di cambiamento. In un recente convegno tenuto nel comune di Domaso, sul lago di Como, dove Miglio ha a lungo vissuto fino alla sua morte (2001), Maroni ha dichiarato: «Oggi voglio riprendere la sua eredità e continuarla perché la sua intuizione è il bagaglio culturale più importante che la Lega ha avuto».
Se le parole sono pietre, c'è da credere che quelle pronunciate da Maroni hanno il preciso significato di riportare, in qualche misura, la strategia politica della Lega entro il progetto tracciato da Miglio con il «Decalogo di Assago» del 1993. Va ricordato, però, che pochi di quei punti furono fatti propri dalla Lega, perché Bossi preferì privilegiare una politica di contrattazione con lo stato centrale, che mirasse al rafforzamento delle autonomie regionali. Da qui l'accordo di governo con Berlusconi nel 1994, al quale Miglio si dichiarò contrario. Non gli piacque anche che come ministro delle Riforme istituzionali fosse stato scelto Francesco Speroni. Bossi fu molto esplicito in quella occasione: «Miglio pare che ponga solo un problema di poltrone e la difesa del federalismo non è questione di poltrone». Il Profesùr gli rispose in maniera altrettanto sprezzante: «Per Bossi il federalismo è stato strumentale alla conquista di poltrone e il federalismo non è questione di poltrone». Aggiunse poi: «Tornerò solo nel giorno in cui Bossi non sarà più segretario».
Oggi, stando alle dichiarazioni di Maroni, Miglio è ritornato a rappresentare per la Lega un forte punto di riferimento. Sarà, quindi, interessante vedere quanta parte di quel «Decalogo» sarà posto alla base della sua futura azione politica. Quel progetto era fondato sul ruolo costituzionale assegnato all'autorità federale e a quella di tre macroregioni (Nord, Centro e Sud), oltre alle Regioni a statuto speciale. Era, tra l'altro, previsto che: le spese dell'unione non avrebbero dovuto superare il 50% del Pil; il presidente federale avrebbe presieduto un «governo direttoriale» composto dai presidenti delle Regioni e, inoltre, per garantire l'unità del Paese avrebbe dovuto essere eletto direttamente dal popolo in due tornate elettorali; all'autorità federale unitaria sarebbero stati attribuiti gli affari esteri, la difesa esterna e l'ordine interno, la finanza, l'istruzione universitaria e il coordinamento della ricerca scientifica; tutti gli altri compiti dovevano essere svolti dalle tre macroregioni, i cui contorni territoriali dovevano essere stabiliti con referendum popolare.
Miglio auspicava anche la fine del bicameralismo perfetto, con l'istituzione di un Senato delle regioni, e delineava un federalismo fiscale che prevedeva la destinazione dei tributi là dove la ricchezza era stata prodotta, ma che si dovesse tener conto di una quota destinata a finalità di redistribuzione territoriale.
Molti aspetti di questo progetto appaiono oggi di grande attualità, visto che siamo nel bel mezzo di una crisi economica che ha per molti versi accentuato l'incapacità delle strutture centrali dello Stato e di molte amministrazioni locali di dare risposte adeguate ai bisogni dei cittadini. A ciò si aggiunge la crescita abnorme dei costi della politica e il grave degrado professionale e morale di molta parte della classe politica che non mostra adeguata sensibilità agli interessi generali. Si impongono, quindi, scelte fondamentali per il corretto funzionamento della nostra democrazia. Occorre ripensare, in definitiva, il funzionamento complessivo della macchina statale, rendendola più snella, meno costosa e più efficiente.
L'accorpamento di alcune Province, deciso dal governo con la spending-review, non ha dato un forte segnale in questa direzione. Meglio sarebbe stato abolirle tutte, assegnandone compiti e personale ai comuni capoluogo. La revisione dell'assetto istituzionale e di alcune norme previste dalla Costituzione promulgata nel 1947, richiede, oggi, un serio e concreto impegno al quale nessuna forza politica può sottrarsi. Compresa la Lega, se davvero vuole riappropriarsi del pensiero certamente rivedibile, ma senza dubbio lungimirante, di Gianfranco Miglio
pino roma
L'ECO DI BERGAMO,Lunedì 24 Settembre 2012
Le prime iniziative poste in essere da Roberto Maroni, nuovo segretario della Lega, evidenziano la sua volontà di perseguire due non facili ma importanti obiettivi. Il primo è quello di emarginare il più possibile chi all'interno del partito si è fatto promotore di comportamenti riprovevoli sul piano etico e politico, prima ancora che su quello giudiziario. In quest'azione l'atto più complesso e difficile è stato quello di ridimensionare, senza annullarla, la figura dello storico fondatore e leader del movimento, Umberto Bossi. Il secondo obiettivo è quello di rilanciare l'azione politica del partito attraverso la riscoperta del pensiero e dell'opera di Gianfranco Miglio, che tra il 1990 e il 1994 lavorò per il movimento con l'intento di farne un'autentica forza di cambiamento. In un recente convegno tenuto nel comune di Domaso, sul lago di Como, dove Miglio ha a lungo vissuto fino alla sua morte (2001), Maroni ha dichiarato: «Oggi voglio riprendere la sua eredità e continuarla perché la sua intuizione è il bagaglio culturale più importante che la Lega ha avuto».
Se le parole sono pietre, c'è da credere che quelle pronunciate da Maroni hanno il preciso significato di riportare, in qualche misura, la strategia politica della Lega entro il progetto tracciato da Miglio con il «Decalogo di Assago» del 1993. Va ricordato, però, che pochi di quei punti furono fatti propri dalla Lega, perché Bossi preferì privilegiare una politica di contrattazione con lo stato centrale, che mirasse al rafforzamento delle autonomie regionali. Da qui l'accordo di governo con Berlusconi nel 1994, al quale Miglio si dichiarò contrario. Non gli piacque anche che come ministro delle Riforme istituzionali fosse stato scelto Francesco Speroni. Bossi fu molto esplicito in quella occasione: «Miglio pare che ponga solo un problema di poltrone e la difesa del federalismo non è questione di poltrone». Il Profesùr gli rispose in maniera altrettanto sprezzante: «Per Bossi il federalismo è stato strumentale alla conquista di poltrone e il federalismo non è questione di poltrone». Aggiunse poi: «Tornerò solo nel giorno in cui Bossi non sarà più segretario».
Oggi, stando alle dichiarazioni di Maroni, Miglio è ritornato a rappresentare per la Lega un forte punto di riferimento. Sarà, quindi, interessante vedere quanta parte di quel «Decalogo» sarà posto alla base della sua futura azione politica. Quel progetto era fondato sul ruolo costituzionale assegnato all'autorità federale e a quella di tre macroregioni (Nord, Centro e Sud), oltre alle Regioni a statuto speciale. Era, tra l'altro, previsto che: le spese dell'unione non avrebbero dovuto superare il 50% del Pil; il presidente federale avrebbe presieduto un «governo direttoriale» composto dai presidenti delle Regioni e, inoltre, per garantire l'unità del Paese avrebbe dovuto essere eletto direttamente dal popolo in due tornate elettorali; all'autorità federale unitaria sarebbero stati attribuiti gli affari esteri, la difesa esterna e l'ordine interno, la finanza, l'istruzione universitaria e il coordinamento della ricerca scientifica; tutti gli altri compiti dovevano essere svolti dalle tre macroregioni, i cui contorni territoriali dovevano essere stabiliti con referendum popolare.
Miglio auspicava anche la fine del bicameralismo perfetto, con l'istituzione di un Senato delle regioni, e delineava un federalismo fiscale che prevedeva la destinazione dei tributi là dove la ricchezza era stata prodotta, ma che si dovesse tener conto di una quota destinata a finalità di redistribuzione territoriale.
Molti aspetti di questo progetto appaiono oggi di grande attualità, visto che siamo nel bel mezzo di una crisi economica che ha per molti versi accentuato l'incapacità delle strutture centrali dello Stato e di molte amministrazioni locali di dare risposte adeguate ai bisogni dei cittadini. A ciò si aggiunge la crescita abnorme dei costi della politica e il grave degrado professionale e morale di molta parte della classe politica che non mostra adeguata sensibilità agli interessi generali. Si impongono, quindi, scelte fondamentali per il corretto funzionamento della nostra democrazia. Occorre ripensare, in definitiva, il funzionamento complessivo della macchina statale, rendendola più snella, meno costosa e più efficiente.
L'accorpamento di alcune Province, deciso dal governo con la spending-review, non ha dato un forte segnale in questa direzione. Meglio sarebbe stato abolirle tutte, assegnandone compiti e personale ai comuni capoluogo. La revisione dell'assetto istituzionale e di alcune norme previste dalla Costituzione promulgata nel 1947, richiede, oggi, un serio e concreto impegno al quale nessuna forza politica può sottrarsi. Compresa la Lega, se davvero vuole riappropriarsi del pensiero certamente rivedibile, ma senza dubbio lungimirante, di Gianfranco Miglio
pino roma
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