Da L'ECO DI BERGAMO,4 settembre 2012
Silvana Galizzi
È una crisi che non fa rumore. Non ci sono le grandi chiusure, quelle da centinaia di posti persi in un colpo solo, che pure ci sono state in un passato neanche troppo lontano. Quella di oggi è una crisi di piccole imprese. Uno stillicidio di saracinesche che si abbassano. Una dopo l'altra. Venti, trenta posti alla volta. Magari anche qualcosa meno. Ma messi tutti insieme diventano ancora una volta centinaia di persone e vanno a ingrossare le fila di chi si ritrova dall'oggi al domani senza occupazione. Per alcuni può esserci un paracadute.
Periodi di una cassa integrazione più o meno lunga, ma pur sempre temporanea. Per altri c'è solo la mobilità. Dei 5.692 lavoratori licenziati fra gennaio e luglio in provincia, due su tre, e la stima è per difetto, sono usciti da piccole imprese con meno di 15 addetti. Una schiera di oltre 4 mila persone. C'è dunque un problema immediato e urgente che riguarda i lavoratori, spesso difficili da intercettare anche per il sindacato. E c'è un problema altrettanto urgente ma di prospettiva che riguarda le risposte da dare al territorio per rimettere in moto il cammino virtuoso dello sviluppo. Va detto subito che se oggi ci fermiamo a fare il conto delle perdite e delle difficoltà che giustificano qualcosa più di un briciolo di preoccupazione per l'autunno, questo non cancella, ovviamente, quanto di buono sa esprimere ancora la nostra economia, nel piccolo come nel grande. Chi innova ed esporta fa scuola e traccia una direzione. Ma i numeri della crisi impongono di mettere in campo strategie che vadano oltre l'iniziativa dei singoli. Anche perché va bene vivere di export, ma ci sono segnali di rallentamento pure su mercati dati fino a ieri in grande espansione. Per cui è sempre meglio attrezzarsi. E il nodo è sempre lo stesso: creare lavoro. Il commercio non se la passa benissimo: secondo gli ultimi dati Excelsior, le assunzioni previste per quest'anno sono, di poco, meno delle uscite. Aumenta però la domanda di lavoro qualificato e questo sarebbe probabilmente tutto un terreno da esplorare. Il manifatturiero, che non sta meglio, mostra allo stesso modo un rinnovato interesse per le figure più alte e specializzate. I numeri però non sono enormi. È necessario farli crescere e le strade potrebbero essere almeno due: una che dal mondo arriva a Bergamo e l'altra che dalla provincia va nel mondo. Nel primo caso sarebbe interessante intercettare gli investimenti che grandi gruppi internazionali possono mettere in campo. Nel secondo si tratta di accompagnare quella voglia di fare impresa che anche in tempi duri, pur rallentando il passo, non viene meno: e vuoi mai che da qualche attività avviata nel garage sotto casa nasca il futuro, come è già successo anche nella nostra terra. Due strade che s'intrecciano: come oggi i piccoli sentono l'onda lunga della crisi dei grandi, potranno domani risalire la china agganciandosi a un indotto. Impresa titanica? Forse. Ma non partiamo da zero. Strumenti ce ne sono, soprattutto nel sostegno alle start up. Quello che sembra mancare è sempre il colpo d'ala di investimenti di un certo peso che possano ridare fiato a una terra di imprenditori e lavoratori abituati a far girare le macchine a pieno regime e che non può rassegnarsi a vedere gli impianti che si spengono.
Silvana Galizzi
La discesa dei piccoli che non fa rumore
Silvana Galizzi
È una crisi che non fa rumore. Non ci sono le grandi chiusure, quelle da centinaia di posti persi in un colpo solo, che pure ci sono state in un passato neanche troppo lontano. Quella di oggi è una crisi di piccole imprese. Uno stillicidio di saracinesche che si abbassano. Una dopo l'altra. Venti, trenta posti alla volta. Magari anche qualcosa meno. Ma messi tutti insieme diventano ancora una volta centinaia di persone e vanno a ingrossare le fila di chi si ritrova dall'oggi al domani senza occupazione. Per alcuni può esserci un paracadute.
Periodi di una cassa integrazione più o meno lunga, ma pur sempre temporanea. Per altri c'è solo la mobilità. Dei 5.692 lavoratori licenziati fra gennaio e luglio in provincia, due su tre, e la stima è per difetto, sono usciti da piccole imprese con meno di 15 addetti. Una schiera di oltre 4 mila persone. C'è dunque un problema immediato e urgente che riguarda i lavoratori, spesso difficili da intercettare anche per il sindacato. E c'è un problema altrettanto urgente ma di prospettiva che riguarda le risposte da dare al territorio per rimettere in moto il cammino virtuoso dello sviluppo. Va detto subito che se oggi ci fermiamo a fare il conto delle perdite e delle difficoltà che giustificano qualcosa più di un briciolo di preoccupazione per l'autunno, questo non cancella, ovviamente, quanto di buono sa esprimere ancora la nostra economia, nel piccolo come nel grande. Chi innova ed esporta fa scuola e traccia una direzione. Ma i numeri della crisi impongono di mettere in campo strategie che vadano oltre l'iniziativa dei singoli. Anche perché va bene vivere di export, ma ci sono segnali di rallentamento pure su mercati dati fino a ieri in grande espansione. Per cui è sempre meglio attrezzarsi. E il nodo è sempre lo stesso: creare lavoro. Il commercio non se la passa benissimo: secondo gli ultimi dati Excelsior, le assunzioni previste per quest'anno sono, di poco, meno delle uscite. Aumenta però la domanda di lavoro qualificato e questo sarebbe probabilmente tutto un terreno da esplorare. Il manifatturiero, che non sta meglio, mostra allo stesso modo un rinnovato interesse per le figure più alte e specializzate. I numeri però non sono enormi. È necessario farli crescere e le strade potrebbero essere almeno due: una che dal mondo arriva a Bergamo e l'altra che dalla provincia va nel mondo. Nel primo caso sarebbe interessante intercettare gli investimenti che grandi gruppi internazionali possono mettere in campo. Nel secondo si tratta di accompagnare quella voglia di fare impresa che anche in tempi duri, pur rallentando il passo, non viene meno: e vuoi mai che da qualche attività avviata nel garage sotto casa nasca il futuro, come è già successo anche nella nostra terra. Due strade che s'intrecciano: come oggi i piccoli sentono l'onda lunga della crisi dei grandi, potranno domani risalire la china agganciandosi a un indotto. Impresa titanica? Forse. Ma non partiamo da zero. Strumenti ce ne sono, soprattutto nel sostegno alle start up. Quello che sembra mancare è sempre il colpo d'ala di investimenti di un certo peso che possano ridare fiato a una terra di imprenditori e lavoratori abituati a far girare le macchine a pieno regime e che non può rassegnarsi a vedere gli impianti che si spengono.
Silvana Galizzi
si puo solo evitare il tracollo se chi governa cala e di brutto le tasse
RispondiEliminafavorendo chi assume solo a tempo indeterminato dando sicurezza x potersi creare anche una famiglia che purtroppo andrà sempre più scomparendo
le banche anno chiuso i rubinetti sui prestiti molte imprese chiudono x questo motivo
gli anni 60 erano completamente aperte agli investimenti finanziando quasi tutto
forse se si potesse sfruttare la luna ci sarebbero possibilità immense o un altro piano marshall
vediamo cosa decideranno i germanici o "la salvezza o la fine "(anche x loro)
libero