De Gregorio e authority
Gli autogol dei partiti
L'ECO DI BERGAMO,Giovedì 07 Giugno 2012
La scarsa considerazione di cui gode la classe politica e parlamentare presso l'elettorato ieri probabilmente si è rafforzata nelle sue ragioni. Il caso De Gregorio e le nomine alle autorità di garanzia infatti sono andate in controtendenza con ciò che ci si aspetta dalla cosiddetta, odiata e inamovibile «Casta».
Sul caso De Gregorio, innanzitutto. Il senatore, eletto nell'Italia dei valori, fulmineamente passato col centrodestra ad inizio legislatura, coinvolto in una serie di faccende poco chiare e da ultimo nei maneggi del faccendiere Lavitola, secondo i magistrati dovrebbe essere assicurato alle patrie galere. Anche la Giunta parlamentare per le autorizzazioni a procedere la pensa così, tant'è che il sì all'arresto è stato il verdetto emesso prima del voto dell'aula. Ma proprio in aula, sorpresa!, De Gregorio ha salvato le piume: i senatori, avendo evidentemente trovato nell'iniziativa della magistratura un «fumus persecutionis» nei confronti del loro collega, hanno negato l'autorizzazione all'arresto.
Al di là delle posizioni ufficiali – centrosinistra favorevole alle manette, centrodestra contro – ci deve essere stato qualche commercio sotterraneo. Difficile che il pensiero non vada alla data del 12 giugno quando si dovrà votare l'arresto dell'ex democratico Lusi, già tesoriere della Margherita, di cui tanto si è parlato negli ultimi mesi. E difficile non pensare a qualche scambio sottobanco.
Può darsi che il Parlamento faccia bene a negare il permesso di arresto alla magistratura, intendiamoci. E non tutto si deve fare solo per compiacere la piazza (che poi oggi significa Grillo e il suo popolo «indignato»). Però non c'è dubbio che salvare oggi De Gregorio e tra qualche giorno Lusi sarà interpretato nei bar e nelle case di tutta Italia in un solo modo, semplice e banale: tra cani non si mordono. Una palata a favore del qualunquismo e dunque del grillismo (oggi dato al 20% del favore elettorale).
Altra questione. Le votazioni sulle autorità di garanzia (Comunicazioni e Privacy). I membri delle authority (sette anni in carica a 250 mila euro annue più fringe benefit vari) sono eletti per metà dalla Camera e per metà dal Senato. Come possano essere indipendenti, è abbastanza difficile da capire: sono comunque frutto di un compromesso. Il problema è che tipo di compromesso si fa: o si sceglie un illustre esperto al di sopra delle parti che sappia dire qualcosa sulla materia in questione, oppure si va scegliere l'ex capogruppo trombato, la consigliera Rai in scadenza, la celebre moglie del celeberrimo giornalista tv.
Così i partiti hanno fatto, compreso il Partito democratico che pure da tanto tempo va dicendo che mai e poi mai parteciperà a manovre lottizzatorie proprio di questo tipo, per esempio sul consiglio di amministrazione della Rai già scaduto dove anzi minaccia di disertare le votazioni. Come si vede, una dolorosa contraddizione su cui sono saltati a piè pari Di Pietro e Vendola (e diversi democratici dissidenti come Arturo Parisi) che hanno protestato e preso ancor di più le distanze dal partito di Bersani.
Il presidente del Senato Schifani in una lettera, per certi versi clamorosa, ha chiesto a Berlusconi di fare una «operazione verità» che risponda alle attese di un «elettorato frastornato». Frastornato è la parola giusta ma ha un carattere generale, che va al di là dei confini di un partito.
Andrea Ferrari
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