Stella: «Da noi ormai impera la mediocrazia.
Puniti i migliori»
Il giornalista-scrittore de «La Casta»«Così non va, bisogna cambiare radicalmente
il sistema pubblico di finanziamento ai partiti»
«Occorre cambiare in modo radicale il sistema del finanziamento pubblico dei partiti proprio per restituire un ruolo alla politica, che è assolutamente nobile. Non c'è democrazia senza partiti». Così il giornalista Gian Antonio Stella, firma di punta de «Il Corriere della Sera», scrittore e autore con Sergio Rizzo del bestseller «La Casta», un filone giornalistico e politico di grande successo.
Come giudica il sistema di finanziamento pubblico ai partiti?
«Non credo debba essere abolito. Occorre prevedere un aiuto ai partiti, che sono strumento di democrazia: ma è necessario un sistema diverso e trasparente. Tutto deve essere registrato e registrabile. In Italia, oggi, si possono regalare fino a 50.000 euro ai partiti in modo anonimo: la possibilità di corrompere a livello locale è più alta che a livello nazionale. Inoltre, chi finanzia un partito ha detrazioni fiscali cinquanta volte superiori rispetto a quelle previste per un finanziamento alla ricerca sul cancro: serve una parificazione delle donazioni. Sono convinto che nella politica italiana ci siano tante persone perbene, ma è indispensabile ridiscutere tutto il sistema per restituire nobiltà alla politica».
Cosa ha spinto lei e Rizzo a condurre una battaglia contro i costi della politica?
«La nostra non è una battaglia qualunquista: Sergio e io abbiamo un'idea di democrazia nobile, un valore che non si può toccare. Per questo pretendiamo che ci si risponda in modo serio ai problemi che poniamo, a differenza di quel che ha fatto D'Alema nei nostri confronti con parole inaccettabili. Non bisogna confondere la democrazia con alcune sue strutture: inaccettabili ed esagerate».
Si riferisce alla degenerazione del sistema dei partiti?
«Se le nostre osservazioni sul funzionamento dei partiti fossero state accolte alcuni anni fa, la gente non sarebbe arrivata a questo punto di esasperazione e non ci sarebbe il tracollo di oggi. Non mi si venga a dire che le vicende di Lusi (Margherita) e Belsito (Lega) sono state una sorpresa: nel sistema sono stati lasciati margini di ambiguità. Occorreva cambiare le regole, ma questo non è stato fatto. Sia chiaro: non c'è democrazia senza partiti, non c'è altro modo di esercitare la democrazia. Ma servono partiti diversi».
In che senso?
«Il finanziamento pubblico ha portato i partiti a non parlare più con le persone perché, in ogni caso, i finanziamenti arrivavano e arrivano sempre. Se la politica si autogonfia, si innesta un gioco perverso. Bisogna fare campagne elettorali che costino meno, cambiare i sistemi di rimborso e rompere questo meccanismo perverso che si autoalimenta. Do atto al Pd di essere l'unico partito che presenta un bilancio trasparente e certificato dall'esterno».
È favorevole al finanziamento ai partiti da parte dei privati?
«Certo. Questo costringerebbe i partiti a misurarsi con i cittadini per proporre idee, programmi e persone di livello. Già questo potrebbe aiutare a cambiare il sistema di finanziamento».
Quali vantaggi dà un sistema di gestione dei fondi trasparente?
«Se la gestione è cristallina, quel partito è conquistabile e quindi democratico. I migliori da noi non possono emergere, al contrario il succo della democrazia è un partito che possa essere conquistato dall'esterno: chi è più bravo e con le idee migliori deve avere la possibilità di dimostrarlo e conquistare man mano il partito».
Ma il problema della meritocrazia non investe solo la politica.
«Certo. In Italia i giovani e le donne migliori sono costretti ad andarsene. Questo Paese, con un classe dirigente mediocre, e non solo in politica, si permette di lasciare fuori dal sistema giovani formidabili. Da troppi anni vige una mediocrazia che ha abbassato il livello medio della nostra classe dirigente e che oggi non vuole cedere sovranità. L'augurio è che i partiti vengano sommersi da donne e giovani capaci di emergere e di prendere in mano il Paese. La laurea non è, certo, il solo elemento da prendere in considerazione, ma ricordo che l'Assemblea costituente era composta dal 92% di laureati, ora nel Paese siamo al 64%. C'è da cambiare davvero tanto».
Condivide l'analisi del politologo Giovanni Sartori, che parla di «partiti liquidi»?
«Sì. Il partito deve avere un minimo di struttura, ma con regole diverse: oggi la crisi ha aumentato l'insofferenza verso i privilegi».
Gianluigi Ravasio
L'ECO DI BERGAMO,29 Aprile 2012
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