Cercasi nome per guidare la svolta
Comincia
la corsa al Quirinale e potrebbe durare dieci secondi o dieci giorni.
Uno sprint come l'elezione di Francesco Cossiga (prima votazione), sul
quale erano tutti d'accordo, salvo poi trascorrere sette anni a litigare
con lui mentre picconava il mondo. O una gara a tappe nella giungla
come l'elezione di Giovanni Leone (23ª votazione) che cominciò come
riserva di Fanfani – bruciato dai franchi tiratori in una di quelle
grandi pantomime che piacevano alla Dc – e non finì mai il mandato,
costretto alle dimissioni dal cadavere di Aldo Moro nel bagagliaio della
Renault 5 in via Caetani. Il catafalco e l'insalatiera sono pronti, così vengono definiti cabina e urna per smitizzare un'elezione fondamentale per ribadire i capisaldi della nostra democrazia e per spalancare le porte a una stagione del «fare» senza precedenti. Presidente della Repubblica, governo di scopo, riforme. Dopo aver perso quasi due mesi durante i quali il Paese si è riaffacciato sul baratro, è improbabile che i 1007 grandi elettori abbiano intenzione di tirare a campare a lungo, con il concreto rischio di essere presi a bastonate dai cittadini alla prima occasione.
Questo non significa che si debba eleggere il primo che passa come piacerebbe a Beppe Grillo, che con le quirinarie ha provato a concretizzare il sogno di Lenin. Un giorno il leader della rivoluzione d'ottobre, per sintetizzare i meriti (molto) teorici del comunismo, disse: «Anche una cuoca potrebbe diventare capo dello Stato». Ma le cuoche di cui parlava lui non andavano a Masterchef a preparare orecchie di scrofa in gelatina con scaglie di topinambur. In questo contesto la rinuncia di Milena Gabanelli e Gino Strada fa loro onore; poiché ne sono provvisti in abbondanza, sanno cosa significhi competenza e professionalità. Scampati a Totti, Crozza e Saviano, indisponibile Benigni e impegnata col dentista Margherita Hack, potremmo dover fare i conti con Stefano Rodotà, docente universitario dalla lunga militanza in ogni schieramento della sinistra radicale, che per i grillini ha il merito supremo: tre anni fa ha portato in commissione Affari costituzionali la proposta di adottare un articolo sulla democrazia della Rete. Mentre Grillo punta a stupire, i candidati di Pd e Pdl sono altri. L'identikit è pronto, ci si è arrivati come al solito attraverso trattative sotterranee e possenti piazzate, soprattutto di Renzi contro Franco Marini e Anna Finocchiaro. Bersani avrebbe puntato tutto su Prodi per prestigio internazionale, capacità di mediare ed ecumenismo tecnico-politico, ma il veto di Berlusconi sembra d'acciaio: lo ha battuto due volte alle elezioni e non è considerato equidistante. Senza contare che gli stessi notabili del Pd percepiscono il professore come una malattia infettiva. Il Cavaliere vedrebbe bene Massimo D'Alema, ritenuto sufficientemente bicamerale per far da garante. Ma a scrutinio segreto, in condizioni normali, neppure la moglie voterebbe Baffino. Così oggi si comincia da Franco Marini, sul quale confluisce il gradimento della parte più «Old fashion» dei moderati. L'ex leader sindacale della Cisl è ritenuto buon garante della Costituzione e dell'unità nazionale, politico navigato, capace di favorire coesione. In partenza offre più garanzie bipartisan dello stesso Napolitano sette anni fa. L'altro cavallo da Quirinale è Giuliano Amato, capace di attraversare le procelle socialiste da Craxi al berlusconismo con il peso specifico del sughero. In partenza ne diffidiamo perché ricordiamo che nel luglio del 1992 - sabato mattina, banche chiuse - riuscì con un odioso blitz nell'impresa di prelevare il 6 per mille dai conti correnti degli italiani. Marini o Amato, uno di loro può essere eletto subito o cotto a fuoco lento. Avanti con le schede nell'insalatiera, il sarcofago del Paese è sotto gli occhi di tutti.
Questo non significa che si debba eleggere il primo che passa come piacerebbe a Beppe Grillo, che con le quirinarie ha provato a concretizzare il sogno di Lenin. Un giorno il leader della rivoluzione d'ottobre, per sintetizzare i meriti (molto) teorici del comunismo, disse: «Anche una cuoca potrebbe diventare capo dello Stato». Ma le cuoche di cui parlava lui non andavano a Masterchef a preparare orecchie di scrofa in gelatina con scaglie di topinambur. In questo contesto la rinuncia di Milena Gabanelli e Gino Strada fa loro onore; poiché ne sono provvisti in abbondanza, sanno cosa significhi competenza e professionalità. Scampati a Totti, Crozza e Saviano, indisponibile Benigni e impegnata col dentista Margherita Hack, potremmo dover fare i conti con Stefano Rodotà, docente universitario dalla lunga militanza in ogni schieramento della sinistra radicale, che per i grillini ha il merito supremo: tre anni fa ha portato in commissione Affari costituzionali la proposta di adottare un articolo sulla democrazia della Rete. Mentre Grillo punta a stupire, i candidati di Pd e Pdl sono altri. L'identikit è pronto, ci si è arrivati come al solito attraverso trattative sotterranee e possenti piazzate, soprattutto di Renzi contro Franco Marini e Anna Finocchiaro. Bersani avrebbe puntato tutto su Prodi per prestigio internazionale, capacità di mediare ed ecumenismo tecnico-politico, ma il veto di Berlusconi sembra d'acciaio: lo ha battuto due volte alle elezioni e non è considerato equidistante. Senza contare che gli stessi notabili del Pd percepiscono il professore come una malattia infettiva. Il Cavaliere vedrebbe bene Massimo D'Alema, ritenuto sufficientemente bicamerale per far da garante. Ma a scrutinio segreto, in condizioni normali, neppure la moglie voterebbe Baffino. Così oggi si comincia da Franco Marini, sul quale confluisce il gradimento della parte più «Old fashion» dei moderati. L'ex leader sindacale della Cisl è ritenuto buon garante della Costituzione e dell'unità nazionale, politico navigato, capace di favorire coesione. In partenza offre più garanzie bipartisan dello stesso Napolitano sette anni fa. L'altro cavallo da Quirinale è Giuliano Amato, capace di attraversare le procelle socialiste da Craxi al berlusconismo con il peso specifico del sughero. In partenza ne diffidiamo perché ricordiamo che nel luglio del 1992 - sabato mattina, banche chiuse - riuscì con un odioso blitz nell'impresa di prelevare il 6 per mille dai conti correnti degli italiani. Marini o Amato, uno di loro può essere eletto subito o cotto a fuoco lento. Avanti con le schede nell'insalatiera, il sarcofago del Paese è sotto gli occhi di tutti.
Giorgio Gandola - L'ECO DI NERGAMO.
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