Via stretta per Bersani.
Nuovo voto più vicino
ANDREA FERRARI
Il monito di Giorgio Napolitano sulla «crisi che non aspetta» è molto eloquente circa la situazione di drammatica impasse in cui si trovano i tre blocchi usciti dalle elezioni di febbraio. Tanto non aspetta, la crisi, che ieri è arrivato il declassamento di Fitch che ci porta in serie B e la prospettiva non è certo rincuorante. Ciò che sappiamo in questo momento è che Pier Luigi Bersani è seriamente intenzionato a provare a formare il suo governo, in nome del risultato elettorale, anche se egli, come tutti, sa che non riuscirà ad avere la maggioranza in entrambe le Camere: le risposte che Grillo ha dato alle offerte di dialogo del Pd sono state tutte negative. Del resto, Bersani, d'accordo con il suo partito, non fa cadere la «pregiudiziale a destra»: col Pdl e con Berlusconi non c'è alcuna disponibilità a collaborare da parte del centrosinistra. L'unica barriera che sembra caduta, in casa democratica, è quella di quando Bersani, all'indomani del voto, diceva: o ce la facciamo noi oppure si va direttamente a votare. Una frase che è costata al candidato del centrosinistra più di qualche tensione con il capo dello Stato il quale già si trova in una situazione difficilissima e non può accettare di avere le mani legate da troppi veti. Quanto ai grillini è ormai evidente che puntano a massimizzare il vantaggio elettorale, non concedendo niente ai partiti e puntando a nuove elezioni che potrebbero regalargli ancora maggiori consensi: è una linea che trova del disaccordo nella base (che in buona parte spinge per un incontro con il Pd) ma sappiamo che lì a decidere sono solo in due, Grillo e il suo socio Casaleggio. Per tutto questo, Napolitano concederà al candidato premier del centrosinistra al massimo un incarico solo esplorativo, fallito il quale si potrebbe ricominciare daccapo senza problemi istituzionali e senza imbarazzi. Ma ci sarà il tempo per un nuovo giro di campo? E da parte di chi? E saranno poi passati diversi giorni, il tempo stringerà e saremo sempre più vicini alla data (15 aprile) in cui le Camere dovranno per Costituzione cominciare a votare il nuovo capo dello Stato. C'è per questo chi sostiene che Napolitano, dopo il fallimento di Bersani, potrebbe dimettersi anticipatamente e così «costringere» le Camere ad eleggere in fretta un successore che possieda l'arma che all'attuale presidente ormai manca: il potere di sciogliere le Camere appena elette per l'incapacità dimostrata di formare una maggioranza. Insomma, col nuovo capo dello Stato si andrebbe diritti alle urne già a giugno. Tuttavia bisogna ricordare che si voterebbe ancora una volta col Porcellum (con un'altra roulette del Senato) e si darebbero molte chances a Grillo di aumentare il suo già consistente pacchetto. In tutto ciò Monti rimarrebbe al suo posto in una proroga di dubbia validità costituzionale. Conclusione. Siamo allo stallo mentre il Paese vede peggiorare tutti i suoi dati economici.
Bersani sa che un governo da lui guidato non ha storia perché, anche se ottenesse la fiducia di M5S al Senato, sarebbe soggetto ai veti di Grillo che, di fatto, comanderebbe la situazione.
RispondiEliminaEntrambi i partiti storici sanno che un ritorno alle urne con questa legge elettorale favorirebbe Grillo in modo imprevedibile.
Se ne esce solo con un accordo PD - PDL senza Bersani né Berlusconi per poche riforme urgenti. La riforma elettorale particolarmente potrebbe trovare punti di convergenza fra i due schieramenti che potranno inventarsi qualcosa che riduca le opportunità a Grillo alla prossima tornata.