Per la chiesa l'alba di un giorno nuovo.
Alberto Carrara
Papa Francesco, in questi giorni, è uno spiato speciale. Tutti infatti – giornalisti, fedeli, curiosi di ogni latitudine – spiano quello che dice e quello che fa per «indovinare» che tipo di Papa è e, soprattutto, che tipo di Papa sarà. La molta attesa di prima giustifica la molta curiosità di adesso. Mi pare che i molti, piccoli gesti di cui ci ha gratificato in questi primi giorni siano stati collocati quasi tutti sotto la nota della sobrietà. Sobrietà nel vestito, nel parlare, nel celebrare, anche. In sintonia con il nome impegnativo che si è scelto, quello del grande piccolo Continua a pagina 11povero di Assisi. L'inizio di Pontificato è normalmente contrassegnato da grande solennità di parole e di gesti. È il pedaggio che il nuovo arrivato paga al suo ruolo: deve smettere i panni di cardinale di curia o di vescovo-cardinale di una diocesi per indossare quelli di Papa. Così avviene di solito e, tutti pensano, così è inevitabile che avvenga. Noblesse oblige. Non sembra, però, che le cose stiano esattamente così con Papa Francesco. Si vede subito che si muove con notevole disinvoltura. Ma non nel senso che è spontaneamente solenne, come le circostanze, appunto, richiederebbero, ma nel senso che lascia perdere la solennità per essere semplicemente se stesso. Se si dovesse esprimere la medesima idea con altre parole, si dovrebbe dire che il vescovo di Buenos Aires continua a fare il vescovo. Quello che c'era per lui, prima: il modo di fare, il carattere diretto dei rapporti con la gente, la spontaneità nel celebrare, sono rimasti. Hanno cambiato scenario. Ora, questa non è soltanto un'indicazione sul carattere piacevole del personaggio. Se il vescovo di Buenos Aires resta ancora un po' vescovo anche mentre fa il Papa, ci si può chiedere se questo modo di fare non possa anticipare qualcosa di un modo di essere Chiesa. Non più il centro che si allarga verso la periferia, ma il contrario: la periferia che converge verso il centro. È evidente che non si possono dedurre chissà quali conseguenze dai piccoli gesti di un inizio Pontificato. Ma se i gesti indicano un modo di vedere, ci si può chiedere se è proprio impossibile pensare a qualche novità interessante per la collegialità dei vescovi, per i rapporti fra la curia romana e la Chiesa locale, fra il centro e le diocesi, e così via. Cardinali e vescovi diventano un po' più fratelli, con tutte le possibili conseguenze che ne potrebbero derivare. Dove i gesti contano più che altrove è nella liturgia. Si è visto poco finora, ma qualcosa si è visto, in particolare durante la messa di giovedì nella Cappella Sistina. Forse i particolari sono stati appannaggio di qualche osservatore molto attento. Ma si è notato che l'altare era volto al popolo, che il Papa ha tenuto la sua omelia all'ambone e non alla sede. Che anche i paramenti erano eleganti, ma sobri. E poi, soprattutto, l'omelia, a braccio e in italiano, ha sostituito quella, in latino e scritta, che gli era stata preparata prima. Ed è stata una vera omelia, come ogni celebrante avrebbe potuto fare. Ha seguito delle «parole chiave» per far passare il messaggio, ha concesso spazio a immagini semplici, come quella del castello di sabbia che i bambini costruiscono sulla spiaggia, ha dosato pause e parole, è stato molto comunicativo. Bella proprio perché era una vera, autentica omelia. Avrebbe potuto essere il mio parroco o il mio vescovo. Era il Papa. Ora la liturgia non è particolare secondario per la Chiesa. Oltretutto è la sensazione a pelle che tutti sentono: ogni comunità cristiana dice nella liturgia che tipo di comunità cristiana è e che tipo di comunità vorrebbe essere. Lo stile semplice e fraterno di Papa Francesco nelle sue liturgie potrebbe essere anch'esso un segno anticipatore su che tipo di Chiesa il nuovo Papa vorrebbe: più povera – così ha precisato ieri nel bellissimo discorso ai giornalisti –, più fraterna. È davvero l'alba di un giorno nuovo, tutto da scoprire per la storia della Chiesa.
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