La Politica non può restare immobile.
L'ECO DI BERGAMO,Giovedì 13 Dicembre 2012
Giorgio Gandola
«E adesso ritorna la politica ». Frase definitiva di ogni talk show, lapide sul governo tecnico, resurrezione
della democrazia partecipata.
Ma soprattutto bugia sesquipedale,perché la politica in questi 13 mesi di Mario Monti non è mai andata via. Non si è mai fatta da parte veramente.
Ha semplicemente affidato il cosiddetto «lavoro sporco » ai professori per non assumersi la responsabilità di
compierlo in proprio.
Ha lasciato fare su tasse, Imu, Iva e pensioni – vale a dire sull’obiettivo grosso del cittadino contribuente – ma ha saputo dare possenti segnali della sua presenza in Parlamento su ogni altra decisione.
Condizionandola, annacquandola, qualche volta stravolgendola.
E certamente impedendo ai tecnici di trovare la chiave per aprire la cassaforte della Casta.
Questo dobbiamo sottolineare per rispetto dei cittadini e di quel barlume di intelligenza che
oggi ci impone di fare dei distinguo davanti alla pretesa dei politici di ogni schieramento di alzare
la voce per dire: «Siamo stati in panchina, adesso tocca a noi».
La cosa ci preoccupa non poco perché,nonostante si fossero nascosti tutti dietro il loden di Monti, li abbiamo visti all’opera, i politici,anche in questi mesi.
Li abbiamo visti congelare fino all’ultimo la legge sui condannati incandidabili con emendamenti che spostavano via via più in là il traguardo temporale e l’obiettivo. E in quest’operazione i parlamentari
del Pdl hanno profuso il massimo impegno.
Li abbiamo visti perdere tempo, avvitarsi, incartarsi,mai decidersi sulla nuova legge elettorale,
voluta fortissimamente dal presidente della Repubblica.
Quante riunioni sprecate, quante ore di sonno perdute, per ritrovarci ancora una volta in una campagna elettorale sotto l’ombrello del Porcellum, con i listini bloccati e il rischio di candidature imbarazzanti esattamente come nel recente passato.
Sulla graniticità del Porcellum c’è stata la convergenza di tutti, anche del Pd, non scontento di affrontare una corsa al voto con la possibilità non solo di vincere, ma di stravincere.
Li abbiamo visti in trincea, i politici che oggi si chiamano fuori per rifarsi una verginità, sul decreto
che avrebbe dovuto ridurre le province.
Qui hanno dato il meglio, con un surplace più efficace di quelli di Maspes, impegnati a perdere tempo per
non dover tagliare poltrone e prebende, per non dover tornare nei territori con la notizia della sconfitta.
Il bene del Paese?
Dopo dopo.
Quello conta quando si aumenta l’Irpef al contribuente.
E bisogna dire che, nel loro piccolo, sono stati bravi.
Ce l’hanno fatta, le Province rimarranno così come sono. Tempo scaduto, governo scaduto, si riparte
da zero.
E se dovessero servire quei 7-8 miliardi per coprire gli effetti di una riforma evaporata, c’è sempre
la possibilità di una manovra supplementare su dipendenti, artigiani e pensionati.
O, come promette Bersani (che almeno ha l’onestà di avvertire in anticipo), c’è sempre la risorsa della patrimoniale.
Sarebbe questa la politica vacante?
Durante il regno dei tecnici, i politici ci sono sempre stati. E con loro i grandi burocrati di Stato,
nelle mani dei quali passa il vero potere di veto su ogni riforma. C’erano quando sono stati annacquati
i decreti per ridurre la spesa pubblica, quando è stato bocciato il taglio delle spese militari, quando s’è trattato di adottare la spending review per le prebende parlamentari.
In questi tredici mesi sabbatici il Parlamento ha dato il segno più tangibile della propria debolezza non riuscendo neppure a riformare se stesso.
Per questo ci sembra fuori luogo la demagogia del ritorno, atteggiamento fuorviante di una classe
dirigente che continua a non cogliere l’urgenza di un’assunzione di responsabilità nei confronti
del Paese. Non vorremmo mai dover dare ragione a quel signore che, leggendo del cruccio dell’ex ministro
Brunetta («Ho chiesto un prestito in banca per pagare l’Imu»), ieri al bar ha commentato: «Per votare dei comici, allora meglio votare Grillo».
L'ECO DI BERGAMO,Giovedì 13 Dicembre 2012
Giorgio Gandola
«E adesso ritorna la politica ». Frase definitiva di ogni talk show, lapide sul governo tecnico, resurrezione
della democrazia partecipata.
Ma soprattutto bugia sesquipedale,perché la politica in questi 13 mesi di Mario Monti non è mai andata via. Non si è mai fatta da parte veramente.
Ha semplicemente affidato il cosiddetto «lavoro sporco » ai professori per non assumersi la responsabilità di
compierlo in proprio.
Ha lasciato fare su tasse, Imu, Iva e pensioni – vale a dire sull’obiettivo grosso del cittadino contribuente – ma ha saputo dare possenti segnali della sua presenza in Parlamento su ogni altra decisione.
Condizionandola, annacquandola, qualche volta stravolgendola.
E certamente impedendo ai tecnici di trovare la chiave per aprire la cassaforte della Casta.
Questo dobbiamo sottolineare per rispetto dei cittadini e di quel barlume di intelligenza che
oggi ci impone di fare dei distinguo davanti alla pretesa dei politici di ogni schieramento di alzare
la voce per dire: «Siamo stati in panchina, adesso tocca a noi».
La cosa ci preoccupa non poco perché,nonostante si fossero nascosti tutti dietro il loden di Monti, li abbiamo visti all’opera, i politici,anche in questi mesi.
Li abbiamo visti congelare fino all’ultimo la legge sui condannati incandidabili con emendamenti che spostavano via via più in là il traguardo temporale e l’obiettivo. E in quest’operazione i parlamentari
del Pdl hanno profuso il massimo impegno.
Li abbiamo visti perdere tempo, avvitarsi, incartarsi,mai decidersi sulla nuova legge elettorale,
voluta fortissimamente dal presidente della Repubblica.
Quante riunioni sprecate, quante ore di sonno perdute, per ritrovarci ancora una volta in una campagna elettorale sotto l’ombrello del Porcellum, con i listini bloccati e il rischio di candidature imbarazzanti esattamente come nel recente passato.
Sulla graniticità del Porcellum c’è stata la convergenza di tutti, anche del Pd, non scontento di affrontare una corsa al voto con la possibilità non solo di vincere, ma di stravincere.
Li abbiamo visti in trincea, i politici che oggi si chiamano fuori per rifarsi una verginità, sul decreto
che avrebbe dovuto ridurre le province.
Qui hanno dato il meglio, con un surplace più efficace di quelli di Maspes, impegnati a perdere tempo per
non dover tagliare poltrone e prebende, per non dover tornare nei territori con la notizia della sconfitta.
Il bene del Paese?
Dopo dopo.
Quello conta quando si aumenta l’Irpef al contribuente.
E bisogna dire che, nel loro piccolo, sono stati bravi.
Ce l’hanno fatta, le Province rimarranno così come sono. Tempo scaduto, governo scaduto, si riparte
da zero.
E se dovessero servire quei 7-8 miliardi per coprire gli effetti di una riforma evaporata, c’è sempre
la possibilità di una manovra supplementare su dipendenti, artigiani e pensionati.
O, come promette Bersani (che almeno ha l’onestà di avvertire in anticipo), c’è sempre la risorsa della patrimoniale.
Sarebbe questa la politica vacante?
Durante il regno dei tecnici, i politici ci sono sempre stati. E con loro i grandi burocrati di Stato,
nelle mani dei quali passa il vero potere di veto su ogni riforma. C’erano quando sono stati annacquati
i decreti per ridurre la spesa pubblica, quando è stato bocciato il taglio delle spese militari, quando s’è trattato di adottare la spending review per le prebende parlamentari.
In questi tredici mesi sabbatici il Parlamento ha dato il segno più tangibile della propria debolezza non riuscendo neppure a riformare se stesso.
Per questo ci sembra fuori luogo la demagogia del ritorno, atteggiamento fuorviante di una classe
dirigente che continua a non cogliere l’urgenza di un’assunzione di responsabilità nei confronti
del Paese. Non vorremmo mai dover dare ragione a quel signore che, leggendo del cruccio dell’ex ministro
Brunetta («Ho chiesto un prestito in banca per pagare l’Imu»), ieri al bar ha commentato: «Per votare dei comici, allora meglio votare Grillo».
Altro che votarli!
RispondiEliminaAndrebbero tutti presi a bastonate,Grillo compreso!