IL SIGNOR B E IL LUNGO ADDIO DI MONTI.
di GIORGIO GANDOLA
Il Rieccolo.
Fu Indro Montanelli a coniare il termine per Amintore Fanfani, purosangue democristiano del secolo scorso
che aveva due caratteristiche simili ad altrettante peculiarità del Berlusconi di oggi: la statura napoleonica
in termini di centimetri e la capacità fisica, propria del sughero, di tornare a galla dopo ogni tempesta.
Il nostro Rieccolo ha ripreso in mano il partito, il pallino e per qualche percentuale ildestino del Paese che aveva lasciato un anno fa in condizioni disastrose.
Il gesto di Berlusconi è alla base del lungo addio del governo.
E se ieri sera il premier Monti è salito al Quirinale per annunciare l'ultimo chilometro della sua avventura a Palazzo Chigi, il motivo è tutto nella fibrillazione di questi giorni e nella consapevolezza del premier di non poter più contare su una delle gambe politiche della sua maggioranza.
Un duro colpo per il Paese, per le speranze di risalita dal baratro della crisi e per la nostra credibilità internazionale. Quella che Berlusconi ci aveva lasciato ai minimi storici, con un'economia in piena recessione, con lady Spread a 500 punti, con un deficit pubblico al 120% del pil, con un Parlamento paralizzato dai veti incrociati e dalla litigiosità, con l'evasione fiscale teorizzata come toccasana e con statisti del calibro di Scilipoti, Lavitola, Minetti e Raggi a dettare l'agenda della politica e delle udienze processuali.
Questo era lo scenario fattuale alla vigilia dell'arrivo di Mario Monti con il loden d'ordinanza e una borsa da medico condotto dalla quale spuntavano sobrie forbici, sobri e molto dolorosi rimedi dei quali s'è accorta la parte più sana e meno protetta del Paese (dipendenti, piccole imprese, artigiani, pensionati).
Quella più protetta - vale a dire classe politica, caste e lobby varie, burocrazia pubblica - non sa a tutt'oggi cosa significhi la parola crisi, se non per sentito dire.
Mario Monti era stato chiamato da tutti i partiti, in primis dal Pdl che deteneva la maggioranza, per imporre una cura da cavallo che la politica da basso impero non aveva nè la forza, nè la capacità tecnica di attuare. Ogni taglio ai redditi delle classi più deboli è stato votato diligentemente dalle Camere (quindi anche dalle truppe berlusconiane) e ogni taglio ai privilegi della classe politica è stato bocciato o annacquato altrettanto diligentemente dalle forze politiche.
Pur prostrata e sfiduciata, negli ultimi mesi l'Italia aveva cominciato debolmente a rialzare la testa, aiutata da un credito internazionale ritrovato, da una fiducia conseguente da parte degli investitori sul debito pubblico e da una serie di processi virtuosi, primo dei quali la presa di coscienza della necessità di immettere linfa nuova nella classe politica.
Tutto questo aveva tranquillizzato lady Spread, rientrata nei ranghi a 300 punti, aveva aiutato alcuni partiti ad aprire una stagione di rinnovamento (il centrosinistra, la stessa Lega).
Aveva in definitiva cambiato gli scenari in vista dei primi segnali di ripresa.
Per questo il ritorno di Berlusconi viene oggi visto con perplessità e smarrimento.
Gli imbarazzi dell'ondivago Angelino Alfano dimostrano quanto il Pdl, nonostante le legittime tensioni al rinnovamento, dipenda ancora e sempre dal suo hidalgo.
Diceva qualche giorno fa il segretario in favore di primarie: «Siamo convinti che i candidati debbano passare attraverso l'unzione democratica del nostro elettorato». Un'unzione così democratica da finire in cantina al solo comparire del Rieccolo.
Lo strappo di giovedì vale altri due approfondimenti.
Primo: è arrivato dopo che il governo aveva presentato il provvedimento sulla incandidabilità dei condannati, osteggiato con tutte le sue forze da Berlusconi, che da tempo agli amici e ai potenziali alleati rivela di essere attraversato da un incubo: un nuovo assalto della magistratura che lo costringa a «fare la fine di Craxi».
Secondo: si sarebbe concretizzato dopo la frase di Corrado Passera «Il ritorno al passato non è un bene per l'Italia».
Ma in quell'intervista televisiva, il ministro aveva detto un'altra cosa: «Conto che la gara sulle frequenze Tv venga fatta prima della fine della legislatura». Un altro schiaffo agli interessi imprenditoriali del Cavaliere, che a quel punto si è deciso a dissotterrare l'ascia e a tornare per mandare il più presto possibile a casa il signor Monti.
Con effetti non propriamente coincidenti sui suoi interessi privati e su quelli del Paese.
L'ECO DI BERGAMO, Domenica 09 Dicembre 2012
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8 dicembre 2012 - ore 10:30
Dispuesto a morir matando
Berlusconi ha scelto di andare a sbattere contro a un muro. Passeremo anni a leccarci le ferite
Poteva fare altrimenti, si è fatto riacciuffare. C’è un’Italia che è legittimo sia rappresentata, ma non da lui oggi
Dispuesto a morir matando, come scrive un giornalone spagnolo. Eroico e caotico, egotico e noncurante, ma anche a suo modo tormentato, ribollente di orgoglio e di amor proprio, il nostro Cav. va a sbattere la testa contro il muro. Ridiventa uomo nero della democrazia italiana. Il mondo intero, partendo dall’Europa, è pronto al biasimo, alle tattiche di isolamento e di irrisione. Putin escluso, ma ha anche mal di schiena. Il circuito mediatico sprizza felicità per la preda ritrovata; la corsa della lepre tra le insalate e il sottobosco, alla ricerca della saggezza per una via di uscita da un ventennale casino, è finita. Si è fatto riacciuffare. Il circo giudiziario è lì che appresta le sue gogne vecchie e nuove. Immagine plastica: il televisionista Michele Santoro giovedì sera in collegamento farsesco-martirologico con il dottore Antonio Ingroia, promotore di pataccari e patacche in vacanza guatemalteca, abbronzato e tra le palme. Festeggia il centrosinistra di Pier Luigi Bersani: converge ora facilmente con un centro parassitario e politicamente nullo, ha in regalo un porcellum buono per una maggioranza che incorpora poetastri e versificatori di retoriche valoriali di sinistra comunista, soprattutto ha in regalo l’immagine giusta del nemico strategico, esce dalle contraddizioni del tempo di Mario Monti, il tecnocrate che ha tenuto a bada l’emergenza per incarico di un presidente post comunista e riformista, risanando e riaggiustando il possibile con uno stile e una sostanza freddi, liberali, terzisti, bancari, accademici, eurotemperati, rispettosi della storia complicata di questo paese da sempre a sovranità limitata e a democrazia debole. Festeggia il gruppo l’Espresso-Repubblica, si ricomincia, ma stavolta per darle, non per prenderle.
Poteva fare altrimenti? Certo. Poteva istruire una successione ordinata e credibile di classe dirigente, cosa che aveva cominciato ad approntare; favorire una rilegittimazione della nomenclatura e un suo rinnovamento e ringiovanimento con una gara competitiva sul fronte del consenso, poteva contribuire a una legge elettorale capace di bloccare il frontismo di centrosinistra senza distruggere anche il ricordo del maggioritario, poteva chiedere di andare con Monti e oltre Monti in una logica costruttiva, ritirarsi in una classica posizione senatoria, influente, occuparsi di Milanello e delle aziende e della politica e dell’economia con uno sguardo profondo ma non invasivo, delegando e salvaguardando la sua stessa scelta di non chiedere il voto a novembre del 2011, di provarci con il suo leale ex commissario in Europa, il gruppo Bilderberg come soluzione media e di emergenza tra un populismo maggioritario inchiodato da lunghi anni al nullismo politico e il populismo di sinistra in versione classista e socialdemocratica (ma sempre senza il riformismo, con ipoteche bestiali che il Financial Times finge di non vedere come Susanna Camusso, Maurizio Landini e Nichi Vendola). Poteva tracciare una rotta di convergenza con un pezzo dell’establishment che lo ha sempre visto come il fumo negli occhi e con il quale non ha mai saputo trattare: per lui non era così difficile, Monti fu rispettoso ed equilibrato.
Niente. Il Cav. ha scelto di imbiadare il suo destriero, di vederlo donchisciottescamente come un ronzino da corsa, e di battersi per tagliare un traguardo di minoranza e di sconfitta, in un contesto di isolamento psicologico e politico, idoleggiato dai suoi, alla testa di un’Italia che è legittimo sia rappresentata, e magari con argomenti non rozzi, con programmi e idee-forza non ripetitivi, ma non da lui oggi, dalla sua pancia, dalle sue viscere, non così, con un orizzonte cieco tra lontani mulini a vento.
La pelle è sua. E’ un vecchio amico. E’ il miglior fico del bigoncio. Ne ha fatte di tutti i colori, e ha difeso i colori della bandiera di un’Italia meno ipocrita e cupa di quella che nel 1994 aveva ereditato. Sparge allegria per chi non sia malamente perbenista. Sa sbagliare con torva meticolosità, in piena coazione a ripetere. Non ascolta altro che la eco del suo sé stesso. In questo è his own man, una personalità autonoma, che rischia in prima persona. Questo giornale seguirà le sue gesta (e quelle dei suoi arcinemici), anche perché l’Italia non è messa in pericolo dalle mattane del vecchio e ardimentoso tribuno, anche perché le alternative non sono credibili, e Berlusconi sarà autolesionista ma degno nella sua follia. L’elefante metterà il suo grugno, orecchioni e proboscide, a disposizione del muro verso il quale il Cav. si sta dirigendo, a tutta velocità. L’Italia dal 2013 sarà guidata da Bersani, e speriamo che gli spendaccioni non smantellino quel che resta di un anno reso possibile anche dalla responsabilità del Cav., e che mandino Monti al Quirinale. Speriamo. Passeremo molti anni a leccarci le ferite, come fanno i miei amati cani quando le prendono. E ho detto tutto.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
Questa e' la prova certa che questo corruttore,corrotto e mafioso se ne frega altamente del benessere dell'Italia e degli italiani e pensa solamente a far di tutto pur di sistemare le sue menate e non finire in galera!
RispondiEliminaMa quello che più da' fastidio e' che milioni di italiani ingenui e pecoroni gli vadano dietro e lo votino.
Mille anni di galera a questo criminale,altro che candidatura!
RispondiEliminaQuesta e' la prova certa che questo corruttore,corrotto e mafioso se ne frega altamente del benessere dell'Italia e degli italiani e pensa solamente a far di tutto pur di sistemare le sue menate e non finire in galera!
Ma quello che più da' fastidio e' che milioni di italiani ingenui e pecoroni gli vadano dietro e lo votino.
Mille anni di galera a questo criminale,altro che candidatura!