La beffa dell'Imu sulle scuole paritarie.
L'ECO DI BERGAMO,Lunedì 26 Novembre 2012
Giuseppe Frangi
Dietro i bizantinismi del regolamento dell'Imu per gli enti non profit, pubblicato sabato in Gazzetta ufficiale, una cosa sembra invece purtroppo molto chiara: a queste condizioni per tante scuole paritarie si prospetta il rischio reale di chiusura. Infatti le attività delle scuole paritarie per essere esenti Imu devono essere «non commerciali», oltre naturalmente ad assicurare alcuni requisiti come l'accoglienza degli alunni portatori di handicap, l'applicazione della contrattazione collettiva al personale e l'adeguamento delle strutture agli standard previsti.
Che cosa si intende per «non commerciali»? S'intende che le attività sono svolte a titolo gratuito o dietro pagamento di una cifra simbolica tale «da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio». Proprio così: a titolo gratuito, o comunque, in sostanza, con una gestione in perdita.
È difficile capire come si sia potuta pensare una formula così beffarda, che evidentemente non ha nessuna possibilità di applicazione reale. Il governo l'ha tirata fuori dal cappello per proteggersi dalle osservazioni del Consiglio di Stato che chiedevano una più piena applicazione del diktat di Bruxelles: niente esenzione Imu al non profit perché equivale a un sussidio di Stato e quindi altera le regole del mercato.
Ma ai funzionari di Bruxelles forse sarebbe bene una volta tanto chiarire alcune cose, prima di dover sottostare a indicazioni distruttive. La prima cosa è che in Italia c'è una legge del 2000 che riconosce le scuole paritarie come «scuole pubbliche» («Il sistema nazionale di istruzione (…) è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali», recita l'articolo 1). Quindi il riferimento di mercato, se si vuole stare su criteri tanto cari ai tecnogovernanti europei, dovrebbe essere l'altra «scuola pubblica», cioè quella statale, che ovviamente l'Imu non la paga. E allora come la mettiamo con la parità di condizioni?
In secondo luogo va spiegato che le scuole «pubbliche paritarie» (iniziamo a chiamarle così, chissamai che i concetti prima o poi passino...) sono una fortuna per le finanze statali, perché si fanno carico ogni anno dell'istruzione di 727 mila studenti. Per ognuno di loro lo Stato stanziava, prima dei tagli di quest'anno, 661 euro, perché il resto è tutto a carico delle famiglie e della capacità delle scuole di trovare risorse. Se questo stesso studente domani, per la chiusura della propria scuola paritaria, si rivolgesse alla scuola statale, la sua istruzione peserebbe oltre 6 mila euro alle finanze dello Stato stesso. In breve: il sistema delle scuole pubbliche paritarie, oltre a rappresentare un fatto di libertà e di arricchimento dell'offerta formativa, garantisce ogni anno una minor spesa di 6 miliardi allo Stato.
C'è poi un'altra questione ancor più di fondo che va chiarita. La sentenza del Consiglio di Stato prima, e poi il regolamento approvato dal governo, fanno passare l'idea che il non profit per essere pienamente tale e quindi per avvalersi di alcune agevolazioni debba essere «non economico». Cioè non debba considerarsi come terzo soggetto «produttivo» oltre allo Stato e al mercato. L'ipotesi contenuta nel Regolamento Imu che le scuole pubbliche paritarie possano prestare le loro attività a titolo gratuito è appunto conseguenza di questo presupposto. È un'idea grave, non solo perché lesiva di un elementare principio di democrazia economica, ma perché colpisce lo spirito di iniziativa dei cittadini nell'avviare attività finalizzate a un profitto sociale. Attività che sono imprese a tutti gli effetti. E sappiamo bene quanto in momenti difficili come questo sia decisivo stimolare e mobilitare le energie e lo spirito di altruismo che sono patrimonio del nostro popolo.
Dietro i bizantinismi del regolamento dell'Imu per gli enti non profit, pubblicato sabato in Gazzetta ufficiale, una cosa sembra invece purtroppo molto chiara: a queste condizioni per tante scuole paritarie si prospetta il rischio reale di chiusura. Infatti le attività delle scuole paritarie per essere esenti Imu devono essere «non commerciali», oltre naturalmente ad assicurare alcuni requisiti come l'accoglienza degli alunni portatori di handicap, l'applicazione della contrattazione collettiva al personale e l'adeguamento delle strutture agli standard previsti.
Che cosa si intende per «non commerciali»? S'intende che le attività sono svolte a titolo gratuito o dietro pagamento di una cifra simbolica tale «da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio». Proprio così: a titolo gratuito, o comunque, in sostanza, con una gestione in perdita.
È difficile capire come si sia potuta pensare una formula così beffarda, che evidentemente non ha nessuna possibilità di applicazione reale. Il governo l'ha tirata fuori dal cappello per proteggersi dalle osservazioni del Consiglio di Stato che chiedevano una più piena applicazione del diktat di Bruxelles: niente esenzione Imu al non profit perché equivale a un sussidio di Stato e quindi altera le regole del mercato.
Ma ai funzionari di Bruxelles forse sarebbe bene una volta tanto chiarire alcune cose, prima di dover sottostare a indicazioni distruttive. La prima cosa è che in Italia c'è una legge del 2000 che riconosce le scuole paritarie come «scuole pubbliche» («Il sistema nazionale di istruzione (…) è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali», recita l'articolo 1). Quindi il riferimento di mercato, se si vuole stare su criteri tanto cari ai tecnogovernanti europei, dovrebbe essere l'altra «scuola pubblica», cioè quella statale, che ovviamente l'Imu non la paga. E allora come la mettiamo con la parità di condizioni?
In secondo luogo va spiegato che le scuole «pubbliche paritarie» (iniziamo a chiamarle così, chissamai che i concetti prima o poi passino...) sono una fortuna per le finanze statali, perché si fanno carico ogni anno dell'istruzione di 727 mila studenti. Per ognuno di loro lo Stato stanziava, prima dei tagli di quest'anno, 661 euro, perché il resto è tutto a carico delle famiglie e della capacità delle scuole di trovare risorse. Se questo stesso studente domani, per la chiusura della propria scuola paritaria, si rivolgesse alla scuola statale, la sua istruzione peserebbe oltre 6 mila euro alle finanze dello Stato stesso. In breve: il sistema delle scuole pubbliche paritarie, oltre a rappresentare un fatto di libertà e di arricchimento dell'offerta formativa, garantisce ogni anno una minor spesa di 6 miliardi allo Stato.
C'è poi un'altra questione ancor più di fondo che va chiarita. La sentenza del Consiglio di Stato prima, e poi il regolamento approvato dal governo, fanno passare l'idea che il non profit per essere pienamente tale e quindi per avvalersi di alcune agevolazioni debba essere «non economico». Cioè non debba considerarsi come terzo soggetto «produttivo» oltre allo Stato e al mercato. L'ipotesi contenuta nel Regolamento Imu che le scuole pubbliche paritarie possano prestare le loro attività a titolo gratuito è appunto conseguenza di questo presupposto. È un'idea grave, non solo perché lesiva di un elementare principio di democrazia economica, ma perché colpisce lo spirito di iniziativa dei cittadini nell'avviare attività finalizzate a un profitto sociale. Attività che sono imprese a tutti gli effetti. E sappiamo bene quanto in momenti difficili come questo sia decisivo stimolare e mobilitare le energie e lo spirito di altruismo che sono patrimonio del nostro popolo.
Sino a che si continuera' a legiferare solo per riempire le casse colabrodo dello Stato e non si iniziera' a pensare anche al bene dei Cittadini, avremo sempre norme inique come questa.Per questi vampiri che ci calpestano quotidianamente, noi cittadini non contiamo nulla.Pensiamo ad esempio alla scuola materna di Villa d'Adda, che ogni anno finisce in rosso, non per una cattiva gestione, ma perche' diminuiscono costantemente i contributi che lo stato prima promette e poi non da'.Se ora aggraviamo la gestione con qualche decina di migliaia di euro per l'I.M.U., la sua sopravvivenza sara' certamente incerta, mentre i loro privilegi saranno nuovamente salvi e sicuri.
RispondiEliminaSolo essendo ossequiosi ai diktat di Bruxelles, i nostri cari governanti possono venire poi accolti, non come giullari, ma come paggi, presso la corte di fraulen Merkel.Tutto questo per la loro vana gloria a naturalmente a spese delle nostre tasche e delle nostre tradizioni.
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