PREFETTURA DI BERGAMO
UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO.
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Prot. n. 73/2010III/R.E.L. Bergamo, 22 giugno 20 l O
AI Sig. Presidente della Provincia di
Bergamo
Ai Sig.ri Sindaci dei Comuni della provincia
Loro Sedi
Al Sig. Vicesindaco del Comune di
Castione della Presolanl!
e, p.c. AI Sig. Commissario prefettizio del Comune di
San Giovanni Bianco
Oggetto: Diritti dei consiglieri comunali e provinciali - Art. 43, comma 2, del d. 19s.
18 agosto 2000, n. 267.Nello svolgimento delle proprie funzioni di raccordo, consulenza e collaborazione
con il sistema delle autonomie locali, lo scrivente è spesso destinatario di esposti,
segnalazioni o richieste di intervento formulate da consiglieri, il più delle volte facenti parte
dei gruppi di minoranza, aventi ad oggetto problematiche in tema di accesso agli atti e di
estrazione di copia di documenti amministrativi.
La frequenza con la quale la Prefettura viene chiamata in causa su tali vicende rivela
l'esistenza di rapporti non sempre fluidi tra maggioranza e minoranze consiliari e suggerisce
l'opportunità di un momento di riflessione sulla questione concernente i limiti che incontra il
diritto riconosciuto ai consiglieri comunali e provinciali dall'art. 43, comma 2, del d. 19s. 18
agosto 2000, n. 267.
Si ritiene perciò utile richiamare l'attenzione delle SS.LL. sugli orientamenti
giurisprudenziali formatisi sul punto, frutto delle pronunce emesse negli anni dai competenti
organi di giustizia amministrativa, particolarmente copiose in subiecta materia, tenuto conto
che la richiesta di "notizie" ed "informazioni" agli uffici comunali (e provinciali) costituisce
una delle modalità tipiche di esercizio delle prerogative riconosciute dalla legge ai
consiglieri, attraverso la quale - il discorso vale in modo particolare per i consiglieri "di
minoranza" - si estrinseca la facoltà di controllo connaturata al munus ricoperto.
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L'accesso dei consiglieri comunali e provinciali agli atti amministrativi dell'ente
locale è disciplinato, come detto, dall'art. 43, comma 2, del T.UO.E.L., che prevede in capo
agli stessi il diritto di ottenere dagli uffici tutte le notizie e le informazioni in loro possesso,
utili all' espletamento del mandato.
Dalla titolarità del diritto "muneris causa", discende pertanto l'assenza dell'onere
della motivazione da parte del consigliere. In proposito, il Consiglio di Stato ha più volte
affermato che la finalizzazione dell'accesso ai documenti in relazione: all'espletamento del
mandato costituisce il presupposto legittimante ma anche il limite dello stesso,
configurandosi come funzionale allo svolgimento dei compiti del consigliere (sentenza sez.
V, 26/9/2000, n. 5109) ed inoltre che il consigliere comunale "non è tenuto a specificare i
motivi della richiesta, né gli organi burocratici dell 'ente hanno titolo a richiederli" (sentenza
sez. V, 13/11/2002, n. 6293).
Con la sentenza n. 2716 del 4 maggio 2004, il Supremo Consesso ha poi introdotto
ulteriori elementi, che ampliano e rafforzano il diritto in parola, ritenendo che "..... i
consiglieri comunali hanno diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d'utilità
al! 'espletamento del loro mandato, senza alcuna limitazione". Pertanto "..... una richiesta di
accesso avanzata da un consigliere a motivo del! 'espletamento del proprio mandato risulta
congruamente motivata e non può essere disattesa dall 'Amministrazione".
Conseguentemente, enuncia ancora la sentenza, poiché l'art. 43 del TUOEL " ..... attribuisce
il diritto ai consiglieri comunali di chiedere i documenti ravvisati utili ali 'espletamento del
mandato, la precisazione che la richiesta di accesso è avanzata per I'espletamento del
mandato basta a giustificarla, senza che occorra alcuna precisazione circa le specifiche
ragioni della richiesta". Ed infatti, è stata dichiarata illegittima la norma regolamentare con
la quale un Comune avrebbe imposto l'obbligo di motivazione alla richiesta di atti del
consigliere comunale (CdS sentenza n. 929 del 22/2/2007).
Per quanto attiene alla riservatezza degli atti, essa viene ritenuta, dalla richiamata
sentenza n. 2716/04, sufficientemente tutelata dalla disposizione di cui all'art. 43, comma 2,
del d. 19s. 18 agosto 2000, n. 267, che stabilisce che i consiglieri "sono tenuti al segreto nei
casi specificamente determinati dalla legge". Il Consiglio di Stato osserva, infatti, che " .....
essendo i detti consiglieri tenuti al segreto nel caso di atti riguardanti la riservatezza dei
terzi, non sussiste, ali 'evidenza, alcuna ragione logica perché possa essere inibito l'accesso
ad atti riguardanti i dati riservati di terzi".
L'ampia portata oggettiva dell'art. 43, comma 2 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, e
la specificità del titolo che abilita i consiglieri all'esercizio del diritto di accesso, rispetto a
quello generale di cui alla legge n. 241/90, non consentono di apporre alla predetta facoltà
conoscitiva limitazioni che non siano espressamente contemplate dalla pertinente disciplina
legislativa. Pertanto il diritto di accesso del consigliere comunale non conosce i vincoli e le
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limitazioni previsti dall'ordinario accesso di cui alla predetta legge n. 241/90, ed in
particolare quelli relativi alla riservatezza dei terzi.
La legge non prende dunque in considerazione la posizione di coloro che potrebbero
opporsi all'accesso (cui accorda come unica protezione l'obbligo del segreto a carico del
consigliere comunale, con possibilità di far eventualmente valere nelle sedi competenti la
violazione di tale obbligo) e pertanto non è configurabile in materia alcun contro interessato
(CdS, sez. V, n. 5264/2007).
Dalla richiamata sentenza n. 2716/2004 emerge quindi con chiarezza che l'attuale
orientamento è nel senso della sostanziale impossibilità di opporre diniego all'accesso dei
consiglieri, in considerazione del fatto che " ..... l'espletamento del mandato di cui sono
investiti i consiglieri comunali li abilita a conoscere tutte quante le attività svolte
dall'amministrazione comunale nonché dalle aziende ed enti dipendenti, affinché possano
consapevolmente intervenire in ogni singolo settore", tenuto conto che " ... qualsiasi
limitazione verrebbe a restringere la possibilità di intervento, sia in senso critico sia in senso
costruttivo, incidendo negativamente sulla possibilità d'integrale espletamento del mandato
ricevuto".
L'orientamento giurisprudenziale appena brevemente ricordato attribuisce, quindi, ai
consiglieri una facoltà di accesso agli atti amplissima, che conosce pochissimi limiti. Tra
questi, evidentemente, il caso che il consigliere agisca per interesse personale, ipotesi,
naturalmente, da dimostrare adeguatamente.
Una limitazione particolarmente significativa al diritto di accesso del consigliere si
rinviene invece nella stessa ratio posta a base del diritto, che è quella di rendere possibile
l'esercizio delle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo demandate dalla
legge ai consigli comunali.
Già la sentenza del Consiglio di Stato n. 4471 del 2 settembre 2005 aveva affermato
che "...il consigliere comunale non può abusare del diritto all'informazione riconosciutogli
dall'ordinamento, piegandone le alte finalità a scopi meramente emulativi o aggravando
eccessivamente, con richieste non contenute entro gli immanenti limiti della proporzionalità
e della ragionevolezza, la corretta funzionalità amministrativa dell'ente civico".
Successivamente, un ulteriore passo in avanti è stato fatto con la sentenza dello stesso
Consiglio di Stato n. 6960 del 28 novembre 2006, con cui è stato puntualizzato che non sono
da ritenere coerenti col mandato dei consiglieri richieste di accesso che, per il numero degli
atti richiesti e per l'ampiezza della formulazione, si risolvano in un eccessivo e minuzioso
controllo dei singoli atti. Dette richieste" ...si configurano come forme di controllo specifico,
non già inerente alle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo demandate
dalla legge ai consigli comunali".
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Quest'ultima pronuncia non ha solo affermato la legittimità di una disposizione
regolamentare dell'ente che imponga l'utilizzo di un modulo, in cui indicare il singolo
documento amministrativo che si chiede di conoscere, ma ha soprattutto sostenuto la
legittimità del diniego di accesso motivato dalla necessità di arrecare il minor aggravio
possibile, sia organizzativo che economico, agli uffici e al personale dell'ente.
Lo stesso Ministero dell'Interno, nel seguire l'ormai costante indirizzo del Consiglio
di Stato, ha sempre affermato che, nonostante la riconosciuta ampiezza del diritto in parola,
il consigliere è comunque soggetto al rispetto di alcune forme e modalità ed ha segnalato
l'opportunità di contemperare le opposte esigenze, vale a dire, da un lato le pretese
conoscitive dei consiglieri comunali e, dall'altro, le evidenti esigenze di funzionalità
dell' amministrazione locale.
Un ultimo accenno merita la questione della sopportazione dei costi connessi
all'esercizio del diritto di accesso del consigliere, intesi non solo come costo reale per la
produzione dei documenti, bensì anche come costo relativo all'impiego del personale ed
all'organizzazione dei servizi.
Al riguardo la giurisprudenza è costante nell'affermare il principio della gratuità del
diritto del consigliere di prendere visione o di estrarre copia di atti e documenti, in quanto
l'esercizio del diritto in parola attiene alla funzione pubblica e non ad un interesse individuale
e privato ed un eventuale rimborso del costo di riproduzione potrebbe incidere negativamente
sull'intendimento dei consiglieri di approfondire l'esame di questioni nell'interesse della
collettività.
Ciò non esclude che l'Ente locale possa adottare, in sede di regolamento,
accorgimenti finalizzati a ridurre i costi sopportati.
Infatti se è compito degli Enti Locali, al pari di tutte le Pubbliche Amministrazioni,
curare tutti gli adempimenti a loro carico, essendo tenuti a dotarsi di tutti i mezzi (personale,
strumentazioni tecniche, materiali vari) necessari all'assolvimento dei propri compiti,
dall'altro, è generale dovere della Pubblica Amministrazione di ispirare la propria attività al
principio di economicità, che incombe non solo sugli uffici tenuti a provvedere, ma anche sui
soggetti che richiedono prestazioni amministrative, i quali - specie se appartenenti alla stessa
amministrazione - sono tenuti, in un clima di leale cooperazione - a modulare le proprie
richieste (parere del lO dicembre 2002 della Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi istituita presso la Presidenza del Consiglio) in modo da contemperare i diversi
interessi in gioco.
E proprio l'opportunità di contemperare tali opposte esigenze fa pervenire alla
conclusione che, soprattutto nel caso in cui il consigliere comunale chieda anche l'estrazione
di copie di atti, la cui fotoriproduzione comporti un costo elevato, l'Ente possa senz'altro
adottare un regolamento sulle modalità di accesso agli atti, che contenga alcuni precisi
temperamenti o indichi modalità alternative rispetto a quelle usuali (ad esempio quello della
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riproduzione delle planimetrie su supporto informatico), indurre ad ovviare ai problemi sopra
illustrati e ad assicurare che il diritto di accesso del richiedente sia garantito senza incidere
negativamente sul regolare svolgimento dell'attività amministrativa dell'ente.
Sostanzialmente alle stesse conclusioni perviene il TAR Veneto (sent. n. 3897/2006)
allorché sancisce la legittimità di una norma di un regolamento comunale che dispone:"nel
caso in cui le richieste abbiano ad oggetto l'estrazione di copie di atti elaborati, la cui fotoriproduzione
comporti un costo elevato, quali ad esempio le tavole dei P.R.G., le tavole di
varianti urbanistiche e quant'altro abbia ad oggetto planimetrie di dimensioni consistenti,
sono previste modalità alternative quali la riproduzione su Cl.r-rom in formato PDF, non
modificabile" .
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In definitiva, si può ben dire che l'attività di "opposizione", legittima e basilare per il
corretto svolgimento della vita democratica dell'ente locale, non può e non deve tradursi nel
quotidiano ed esacerbato controllo su ogni singolo atto dell'ente. Al conternpo, è del tutto
inaccettabile, oltre che illegittimo, che gli amministratori locali, a fronte di richieste
formulate ex art. 43, comma 2, del T.U.O.E.L., seguano una linea di condotta improntata al
sistematico diniego di informazioni e documentazione.
Nell'uno e nell'altro caso, alla lunga, si determinerebbe una vera e propria "paralisi"
della vita amministrativa dell' ente locale, con conseguente impossibilità, per lo stesso, di
perseguire i propri fini istituzionali, il che costituisce l'esatto opposto di ciò a cui, per norma,
è finalizzata l'azione della pubblica amministrazione.
Nel rassegnare all'attenzione delle SS.LL. il contenuto della presente (che potrà
essere reso noto ai membri dei rispettivi consigli, nei modi ritenuti più efficaci),
si esprime
l'auspicio che, nel rispetto della normativa di riferimento, un clima di serenità e di rispetto
reciproco dei ruoli possa sempre connotare il rapporto tra gli organi di governo - e, con essi,
la maggioranza politica della quale sono espressione - e le minoranze consiliari.