L'intervista
Cammina nella storia guidato dal Vangelo
« La novità più evidente? Il Papa non parla per opposizioni». Padre Antonio Spadaro, il giorno dopo la sua intervista storica a Papa Francesco, continua riflettere su quella che insiste a definire «un'esperienza spirituale». Ha 47 anni questo gesuita che dirige «Civiltà cattolica», la più prestigiosa tra le riviste mondiali della Compagnia. Siciliano, studi classici a Messina, master a Chicago, fondatore della «cyberteologia», sistema che pensa la teologia al tempo della Rete, gesuita blogger, autore di saggi sulla pastorale digitale, ma anche scrittori come Flannery O'Connor e Pier Vittorio Tondelli. Ha passato tre giorni con il Papa e la sua intervista da due giorni fa discutere a ogni angolo del pianeta. Lo cercano per interviste da tutto il mondo in tutte le lingue. Padre Spadaro, cosa le resta dentro? «Prima di tutto la sorpresa, dalla quale ancora non mi rimetto. Mi porto dentro l'immagine di un uomo di grande autorevolezza, ma che sa colmare le distanze. Bergoglio è un uomo totalmente trasparente. E lo si vede nell'intervista quando non si sottrae all'autocritica di sé». È stato difficile intervistare il Papa? «No, perché lui ha gli occhi aperti sulla realtà e stare accanto e interloquire con lui significa squadernare la realtà della Chiesa e del mondo. È un vulcano di idee e di visioni. È stata un'esperienza molto forte». Qual è la novità di Papa Francesco? «Noi siamo abituati a pensare per opposizione: morale o immorale, credenti e non credenti e via di seguito. Lui no. Noi siamo abituati a ragionare sulla base di un'agenda. Lui no. Per lui l'agenda è il flusso della storia e le relazioni con le persone sono più importanti degli appuntamenti. Fa sempre così e l'ho notato anche nel corso dell'intervista. Avevamo una traccia, ma l'abbiamo subito abbandonata. Non si fa imbrigliare da nulla, solo dal Vangelo. Ha priorità diverse». Da Papa che viene dalla fine del mondo? «Esattamente. Noi conosciamo poco gli stili, la cultura, la passione dei latinoamericani, gente abituata a camminare fianco a fianco, che non pone condizioni, che è di coscienza aperta. I miei amici di Buenos Aires sorridono quando dico che noi ci stupiamo di Bergoglio. Loro si stupiscono del nostro stupore». La funzione di vescovo di Roma non lo ha cambiato? «No. Sente la responsabilità di rimanere come è sempre stato. Non chiede condizioni previe, se non quella di avere una coscienza aperta. La "grazia di stato" di essere Papa la fa pesare su se stesso e questo gli infonde nuova energia nella predicazione del Vangelo. Non fa programmi, non stabilisce di andare da A a B. Cammina nella storia solo guidato dal Vangelo e dal discernimento che viene dal Vangelo, giorno per giorno, senza tattiche precostituite, senza quasi strategie. Dice con chiarezza che Dio lo si incontra camminando. E camminando si apre il cammino della Chiesa». Quindi il passaggio più importante dell'intervista è quello dove ragiona sugli spazi chiusi come tentazione della Chiesa? «È uno dei nodi centrali. Se la Chiesa è quella del samaritano che si china sulle ferite, non può essere che una Chiesa che va per le strade e non si chiude in recinti dorati. Bergoglio è appassionato di frontiere non per capriccio sociologico, ma perché Gesù era appassionato di frontiere». I precetti imbrigliano le frontiere? «A volte imbrigliano il cammino e la missione, allontanano dal Vangelo, lo trasformano in una pietra preziosa da tenere nascosta in tasca. Francesco nell'intervista spiega come fare per evitare di finire in questa trappola». Siete riusciti a tenere segreto tutto fino all'ultimo momento, un vero scoop mondiale. «È stato un lavoro enorme per le traduzioni e per i rapporti con la stampa mondiale. Devo confidarle che un grande giornale straniero era riuscito ad avere il testo in anteprima. Ma non lo ha pubblicato per rispetto di Papa Francesco». Al. Bo.
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