E' tutto in mano a Beppe Grillo.
Nel caos totale che sta attraversando i partiti nel dopo-elezioni, si capisce solo una cosa: è tutto in mano a Beppe Grillo. Se deciderà di proseguire nella sua totale chiusura al Partito Democratico, non ci sono altre strade che il governo tecnico o il ritorno alle urne. Se invece sceglie - ma è molto dura - di appoggiare gli otto punti di Bersani, allora lo scenario potrebbe cambiare e portare a un "governo di scopo" che, cioè, si limiti a fare delle riforme decise in partenza. È quello che spera il segretario del Pd, che in questa battaglia trova un alleato che non si aspettava: Don Andrea Gallo. Il prete di strada, da sempre vicino alla sinistra e al movimento No Tav e simpatizzante del Movimento 5 Stelle, ha lanciato una proposta al leader dell'M5S: "Prova a domandare sul web ai tuoi milioni di elettori se la maggioranza è d’accordo ad andare a sedersi ad un tavolo con il centrosinistra".
Il referendum e il non statuto. La risposta di Beppe Grillo non è ancora arrivata, e visto che fino a questo momento il blogger genovese ha fatto di testa sua (ascoltando solo il guru Casaleggio), è difficile che decida di indire un referendum tra i militanti a 5 Stelle per decidere il da farsi. Anche se, secondo una norma del "non-statuto" che regola il movimento, dovrebbe farlo. "Il MoVimento 5 Stelle non è un partito politico (...). Esso vuole realizzare un efficiente ed efficace scambio di opinioni e confronto democratico (...), riconoscendo alla totalità degli utenti della Rete il ruolo di governo ed indirizzo normalmente attribuito a pochi".
I sondaggi premiano Grillo. Quindi, secondo il non-statuto che lui stesso ha scritto, Grillo non potrebbe arrogarsi il diritto di decidere senza consultare la base dei suoi elettori. E poco importa che nel "codice di comportamento dei parlamentari a 5 Stelle" c'è scritto che non si possono fare alleanze, ma solo appoggiare punti singoli, perché quello che Bersani propone sono proprio otto punti precisi (legge anticorruzione, conflitto d'interessi, ecc). Ma per poterli appoggiare, il Movimento 5 Stelle deve prima permettere al segretario Pd di andare al governo. E quindi votargli la fiducia. Succederà? Molto difficile, soprattutto visto che al momento la linea "radicale" di Beppe Grillo viene premiata dai sondaggi.
E quindi, governo tecnico? Vista così, la strada che porta dritti dritti a un nuovo governo tecnico o a un governo di larghe intese tra Pd-Monti-Pdl sembra segnata. Unica alternativa è che si torni a votare nel giro di pochi mesi. Ma chi decide? Un ruolo fondamentale in questa decisione ce l'ha il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Di lui sappiamo una cosa: non vuole il ritorno alle urne, ma che si metta in piedi a tutti i costi un governo per garantire stabilità al paese. Quindi, quando si spegnerà il lumicino di speranza che Bersani ancora conserva di accordarsi con l'M5S, la palla passerà tra le mani del Capo dello Stato, che cercherà di individuare l'uomo migliore per permettere ai vari partiti di mettersi d'accordo, siglare la tregua, fare un "governissimo" che si basi su pochi punti certi (per esempio, la riforma elettorale sempre annunciata e mai fatta).
Tutti vogliono Matteo Renzi. Ricapitoliamo, se fallisce la trattativa tra Bersani e il Movimento 5 Stelle ci sono solo due alternative: ritorno alle urne o governo di larghe intese tra le forze principali. Napolitano non vuole che si torni al voto e quindi sta a lui trovare il modo di far andare d'accordo Pd e Pdl (come aveva fatto scegliendo Monti). Ma chi può essere l'uomo giusto? Tanti hanno fatto il nome di Matteo Renzi, che ha le caratteristiche giuste: non è contrario al governo tecnico (a differenza di Bersani), è visto bene dal Pdl e segnerebbe comunque una rottura con il passato. Ma Renzi, che non è scemo, si è tirato fuori subito. Non vuole bruciarsi guidando un governo che non piace a nessuno, vuole aspettare che si torni al voto, vincere le primarie e provare a guidare un governo retto dal "suo" Pd. Niente Renzi, quindi.
Gli altri nomi. A questo punto, sulla carta rimangono tre nomi (o almeno sono quelli che si leggono in giro): un tecnico, un semitecnico, un politico. Il tecnico è il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri (in alternativa, il ministro Barca, che piace al Pd); il semitecnico è Mario Monti (giusto per tirare a campare qualche mese in attesa che si torni al voto); il politico è Anna Finocchiaro: pezzo grosso del Partito Democratico, che guidando un "governissimo" potrebbe coronare una ormai lunga carriera politica. Ma prima, bisogna vedere che succede a partire dal 15 marzo, quando i nuovi deputati entreranno a Camera e Senato, dopodiché si scoprirà se queste elezioni avranno segnato la fine della Seconda Repubblica oppure se la terranno artificialmente in vita.
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