Inaugurato
il museo dedicato al beato
Un
piccolo museo per una grande storia. Quella di don Carlo Gnocchi e
della sua «baracca». L’opera che ha restituito speranza a tante persone
sfregiate dalla guerra e dimenticate dalla pace. Mutilati fuori.
Spezzati dentro. Ricostruiti sulla «roccia» del Crocifisso Risorto dalla
santa intraprendenza di un prete ambrosiano che ebbe l’intera esistenza
lacerata, incendiata, illuminata dall’incontro con il mistero del
dolore innocente.
Un piccolo museo ma destinato a crescere, quello inaugurato sabato nell’ex cappella del Centro «Santa Maria Nascente» di via Capecelatro, alla presenza del ministro per i Beni culturali Lorenzo Ornaghi, dell’arcivescovo Piero Marini, presidente del Pontificio Comitato per i Congressi eucaristici internazionali, e del vescovo di Lodi Giuseppe Merisi, la cui diocesi ha dato i natali al «padre dei mutilatini». Un luogo per imparare a «vedere col cuore», ha spiegato monsignor Angelo Bazzari, presidente della Fondazione Don Gnocchi. Per scoprire come «l’uomo è un pellegrino malato d’infinito, incamminato verso l’eternità» ha aggiunto, citando «don Carlo».
Il museo è l’opera-segno offerta alla città e alla Chiesa nel terzo anniversario della beatificazione di don Gnocchi (25 ottobre 2009) e a 110 anni dalla sua nascita (San Colombano al Lambro, 25 ottobre 1902). Progettato dallo studio Rognoni-Valeriani, è stato realizzato nell’ex cappella di via Capecelatro. Lì don Carlo aveva chiesto d’essere sepolto; lì sono rimaste le sue spoglie dal 1960 al novembre 2010, quando l’urna che le custodisce è stata traslata nella nuova, adiacente chiesa, da poco eretta dal cardinale arcivescovo di Milano Angelo Scola a santuario diocesano.
Museo e santuario sono come organi dello stesso corpo. Proprio nel santuario si è svolta la cerimonia inaugurale fino al taglio del nastro alla soglia del «memoriale». La cerimonia ha intrecciato con sapienza la lettura di passi folgoranti delle lettere di don Gnocchi, i saluti delle autorità, l’esibizione del Coro Ana di Limbiate (che in un clima di palpabile commozione ha eseguito brani del repertorio alpino come Sul ponte di Perati o Il testamento del capitano).
È la preghiera per don Gnocchi, guidata dal nuovo rettore del santuario, don Maurizio Rivolta, ad aprire l’incontro. «Qui sono cresciuto, qui ho appreso i valori che ispirano il mio impegno politico»: Andrea Fanzago, vicepresidente del Consiglio comunale, ricorda i suoi 17 anni in Fondazione; poi richiama le istituzioni, anche in tempi di crisi e di tagli, a dare attenzione a realtà come questa. Novo Umberto Maerna, assessore alla Cultura della Provincia, addita il don Gnocchi promotore del «principio di sussidiarietà» e paladino della «persona umana» come «unico valore assoluto e immortale». Cesare Lavizzari, consigliere dell’Associazione nazionale alpini, spiega come la «lezione» di don Gnocchi sia profondamente impressa nello stile di servizio e prossimità delle penne nere. «Una testimonianza di fede e solidarietà, un punto di riferimento per le nostre comunità. Lodi è orgogliosa di avergli dato i natali», dice il vescovo Merisi.
«Quando morì, mi colpì la sua scelta di donare le cornee a due ragazzi non vedenti. Poi ho capito che in realtà aveva donato i suoi occhi a tutta la Chiesa – è il pensiero dell’arcivescovo Marini, compagno di seminario di Bazzari –. Don Carlo ci ha lasciato gli occhi perché ogni volta che incontriamo un fratello che soffre, non andiamo oltre ma ci fermiamo a guardarlo con lo sguardo del buon samaritano. Lo sguardo di Gesù. Questo museo sia una scuola di formazione alla vita e all’amore». Un auspicio condiviso da Ornaghi. Le «virtù eroiche» di don Gnocchi, riflette il ministro, non sarebbero bastate a dare forza alla «baracca» se non ci fosse stata «un’adesione di popolo alla sua opera». Un’opera «più forte delle parole». Don Gnocchi «è stato un grande protagonista della vita milanese, quando Milano era guida, anche morale, del Paese». Un ruolo, nazionale ed europeo, che oggi è possibile rinnovare facendo tesoro dell’eredità, ecclesiale e civile, del beato.
Un piccolo museo ma destinato a crescere, quello inaugurato sabato nell’ex cappella del Centro «Santa Maria Nascente» di via Capecelatro, alla presenza del ministro per i Beni culturali Lorenzo Ornaghi, dell’arcivescovo Piero Marini, presidente del Pontificio Comitato per i Congressi eucaristici internazionali, e del vescovo di Lodi Giuseppe Merisi, la cui diocesi ha dato i natali al «padre dei mutilatini». Un luogo per imparare a «vedere col cuore», ha spiegato monsignor Angelo Bazzari, presidente della Fondazione Don Gnocchi. Per scoprire come «l’uomo è un pellegrino malato d’infinito, incamminato verso l’eternità» ha aggiunto, citando «don Carlo».
Il museo è l’opera-segno offerta alla città e alla Chiesa nel terzo anniversario della beatificazione di don Gnocchi (25 ottobre 2009) e a 110 anni dalla sua nascita (San Colombano al Lambro, 25 ottobre 1902). Progettato dallo studio Rognoni-Valeriani, è stato realizzato nell’ex cappella di via Capecelatro. Lì don Carlo aveva chiesto d’essere sepolto; lì sono rimaste le sue spoglie dal 1960 al novembre 2010, quando l’urna che le custodisce è stata traslata nella nuova, adiacente chiesa, da poco eretta dal cardinale arcivescovo di Milano Angelo Scola a santuario diocesano.
Museo e santuario sono come organi dello stesso corpo. Proprio nel santuario si è svolta la cerimonia inaugurale fino al taglio del nastro alla soglia del «memoriale». La cerimonia ha intrecciato con sapienza la lettura di passi folgoranti delle lettere di don Gnocchi, i saluti delle autorità, l’esibizione del Coro Ana di Limbiate (che in un clima di palpabile commozione ha eseguito brani del repertorio alpino come Sul ponte di Perati o Il testamento del capitano).
È la preghiera per don Gnocchi, guidata dal nuovo rettore del santuario, don Maurizio Rivolta, ad aprire l’incontro. «Qui sono cresciuto, qui ho appreso i valori che ispirano il mio impegno politico»: Andrea Fanzago, vicepresidente del Consiglio comunale, ricorda i suoi 17 anni in Fondazione; poi richiama le istituzioni, anche in tempi di crisi e di tagli, a dare attenzione a realtà come questa. Novo Umberto Maerna, assessore alla Cultura della Provincia, addita il don Gnocchi promotore del «principio di sussidiarietà» e paladino della «persona umana» come «unico valore assoluto e immortale». Cesare Lavizzari, consigliere dell’Associazione nazionale alpini, spiega come la «lezione» di don Gnocchi sia profondamente impressa nello stile di servizio e prossimità delle penne nere. «Una testimonianza di fede e solidarietà, un punto di riferimento per le nostre comunità. Lodi è orgogliosa di avergli dato i natali», dice il vescovo Merisi.
«Quando morì, mi colpì la sua scelta di donare le cornee a due ragazzi non vedenti. Poi ho capito che in realtà aveva donato i suoi occhi a tutta la Chiesa – è il pensiero dell’arcivescovo Marini, compagno di seminario di Bazzari –. Don Carlo ci ha lasciato gli occhi perché ogni volta che incontriamo un fratello che soffre, non andiamo oltre ma ci fermiamo a guardarlo con lo sguardo del buon samaritano. Lo sguardo di Gesù. Questo museo sia una scuola di formazione alla vita e all’amore». Un auspicio condiviso da Ornaghi. Le «virtù eroiche» di don Gnocchi, riflette il ministro, non sarebbero bastate a dare forza alla «baracca» se non ci fosse stata «un’adesione di popolo alla sua opera». Un’opera «più forte delle parole». Don Gnocchi «è stato un grande protagonista della vita milanese, quando Milano era guida, anche morale, del Paese». Un ruolo, nazionale ed europeo, che oggi è possibile rinnovare facendo tesoro dell’eredità, ecclesiale e civile, del beato.
da L'AVVENIRE,30.10.2012
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